Sedute a terra, con cartelli e una bandiera della Palestina davanti a piazza Montecitorio. Così questa mattina le attiviste Alina e Beatrice, da tre giorni senza cibo, hanno protestato chiedendo che il governo Meloni riconosca ufficialmente il genocidio in corso a Gaza e garantisca protezione alle persone a bordo delle Flotille. Pochi minuti dopo l’arrivo, le forze dell’ordine sono intervenute allontanandole di peso. «Siamo qui in maniera pacifica e nonviolenta e veniamo trattate in maniera repressiva, incuranti del fatto che sono tre giorni che non mangiamo - spiega Alina dell’Aquila, madre di tre figlie -. Non possiamo fare più finta di niente, non possiamo più continuare a commerciare in morte con Israele. Vi state ad occupare di noi e ci trattate come terroriste, mentre lo Stato di Israele sta sterminando un popolo. E il Governo Meloni è coinvolto, è complice di questo genocidio perché continua a mantere legami commerciali, dipolomaitci, militari e politici con il governo genocidia di Netanyahu!».
La terza scioperante, Serena, 39 anni, educatrice e professionista sanitaria, ha preso parte invece al corteo a Roma in adesione allo sciopero nazionale.
A Gaza la guerra è stata già definita genocidaria da organismi internazionali: «La Commissione indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite ha pubblicato un’analisi giuridica di 72 pagine che lo attesta. Inoltre - spiegano le attiviste - la Corte Internazionale di Giustizia ha parlato di “rischio plausibile” di genocidio, stabilendo obblighi per gli Stati firmatari, Italia compresa».
Nonostante i richiami della comunità internazionale, «la Camera ha appena rinnovato il memorandum di cooperazione militare con Israele - precisano gli ambientalisti -. I deputati di Fratelli d’Italia si sono astenuti, mentre la Lega ha votato contro persino una risoluzione europea di condanna». Così le parole di Arianna Meloni, che ha accusato la Flotilla di «strumentalizzare» il dolore di Gaza, hanno alimentato ulteriori polemiche
Ultima Generazione denuncia che l’Italia non è spettatrice neutrale, ma attore che con «legami commerciali, diplomatici, militari e politici continua a rafforzare la propria complicità».
La mobilitazione non si ferma. Secondo gli attivisti, sono già 53mila le persone che hanno scelto di aderire alla campagna di boicottaggio contro le aziende italiane che esportano in Israele. Una forma di pressione politica che mira a incidere sugli interessi economici legati all’occupazione.
«Continuare a commerciare significa sostenere, anche indirettamente, un sistema di violenza e oppressione: ecco perché la complicità economica non può più essere tollerata», denunciano infine.
Come ricorda Francesca Albanese nel libro Quando il mondo dorme: «Il sistema che reprime i Palestinesi è lo stesso a cui apparteniamo noi». Anche la spesa quotidiana nei supermercati diventa così parte del conflitto, ricordano gli attivisti: prodotti provenienti da terre confiscate ai palestinesi finiscono sugli scaffali italiani, aggravando allo stesso tempo la crisi dei piccoli agricoltori.
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