«Viviamo in una società competitiva. Ci dicono che la vittoria porta felicità: primeggiare, avere sottoposti... Ma in realtà, è l’anticamera della solitudine e dell’infelicità». Elio Germano parla alla presentazione romana di Tre ciotole, il nuovo film di Isabel Coixet tratto dall'omonimo libro di Michela Murgia, e centra subito il cuore pulsante del film.
In uscita il 9 ottobre in Italia, il film - con protagonisti Germano e Alba Rohrwacher -, è stato presentato in anteprima al Toronto international film festival. Ambientato in una Roma, quasi interamente a Trastevere, fuori dalle cartoline e fuori dalle guide. Una città, come la definisce l’attore, «sinceramente inquadrata», accogliente e disordinata, che si rivela attraverso i muri, i volti, e una «umanità libera».
Il personaggio di Germano è Antonio, uno chef in ascesa che lascia Marta (Alba Rohrwacher), salvo poi scoprirne l’assenza in ogni angolo della città. «Roma di oggi, con i suoi volti, i muri, l’umanità libera. Una città accogliente, che non giudica. Tanti mondi diversi che si toccano», dice ancora l’attore, tratteggiando una Capitale fatta di contrasti e incontri, più vera e meno idealizzata di quella cui siamo abituati al cinema.
Nel film, Roma non è mai sfondo neutro, ma è racconto parallelo: è nel cibo, nei vicoli, nella malattia, nella solitudine e nella riscoperta del desiderio. È anche in quegli stormi di uccelli che la regista spagnola ha voluto inserire volutamente, dopo un ricordo personale.
«La prima volta che sono venuta a Roma avevo quindici anni» racconta Isabel Coixet. «E la cosa che mi ha colpita di più sono stati gli stormi. Li associo ancora oggi alla città. Anche se si possono trovare altrove, per me sono diventati simbolo di Roma. Ho voluto che entrassero nel film perché rappresentano qualcosa di fragile, disordinato, ma profondamente armonico».
Un’immagine che riflette bene anche lo stile narrativo della regista, già autrice di La mia vita senza me e La vita segreta delle parole: cinema dell’intimità, delle crepe, dei dettagli.
Anche Alba Rohrwacher si è lasciata attraversare da questa nuova visione: «Trastevere è il quartiere dove vivo, dove viveva Michela Murgia e dove abbiamo girato quasi tutto il film. Eppure, è stato solo grazie alla macchina da presa di Isabel che ho visto quelle vie sotto una luce nuova».
I luoghi sono tutti reali, dai supermercati, alle gelaterie, ai vicoli coperti di tag e murales.
Rohrwacher, nel ruolo di Marta, attraversa il dolore di una separazione e quello di una diagnosi. Ma lo fa con una grazia vitale che, secondo Coixet, «non si lascia definire dal dolore».
Il film, scritto da Enrico Audenino con la stessa Coixet, evita l’estetica da spot turistico: «Mi sembra un punto di vista sincero, non turistico» osserva Germano. A completare il quadro, c’è il legame forte con l’autrice Michela Murgia, la cui scrittura – secondo la regista – «trova bellezza profonda nei momenti più ordinari e vulnerabili della vita».
Tre ciotole è quindi anche un omaggio a chi ha saputo raccontare Roma – e la vita – dalle sue pieghe più nascoste. Da quelle soglie dove «la finzione diventa una forma di verità», come dice Coixet.
Il risultato è un film che invita a rallentare, guardare, ascoltare. E accogliere l’inadeguatezza come parte del vivere. Anche questo, forse, è il significato più profondo di quelle tre ciotole.
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