
A Roma l’emergenza abitativa è una frattura sociale che ogni giorno si allarga: 13 famiglie sfrattate quotidianamente, migliaia di alloggi pubblici in attesa di manutenzione o regolarizzazione, e interi quartieri che vivono nell’incertezza. Per chi fugge da una situazione di violenza, questa fragilità diventa un baratro: senza una casa sicura, molte donne temono non solo di non farcela, ma di perdere i propri figli, un ricatto silenzioso che spesso le spinge a non denunciare.
In questo contesto, lo sportello di Unione Inquilini in via Cavour è uno degli ultimi presidi dove il diritto all’abitare prende forma concreta. Qui arrivano persone che hanno perso tutto: lavoro, reddito, stabilità, relazioni. Qui cercano una possibilità, un ascolto, un percorso. In questo luogo si incrociano storie di sofferenza, resistenza e risalita.
Tra queste c’è quella di Serena Pericoli, vittima di violenza fisica, psicologica ed economica, sopravvissuta a un tentato omicidio davanti ai suoi figli. Dopo la denuncia, ha perso il lavoro e poi la casa. È stata sfrattata, minacciata di vedersi togliere i bambini perché senza un tetto stabile. Una spirale che avrebbe schiacciato chiunque.
Serena però ha trovato in Unione Inquilini una rete, una forza, e ha scelto di combattere accanto alla segretaria dell’associazione, Silvia Paoluzzi, fino a ottenere l’assegnazione di una casa popolare. Oggi è lei, dal lato di chi accoglie, ad aiutare altre donne a non sentirsi sole nel loro percorso.
Questa è la sua voce.
La paura più grande per una donna è proprio denunciare. Perché ti mettono in testa che, se non hai una casa sicura e una stabilità economica, ti possono portare via i figli. È una minaccia che pesa, che paralizza. È successo anche a me.
Ho subito un tentato omicidio da parte del padre dei miei figli, una violenza brutale, anche davanti a loro. E oltre a quella fisica, c’era la violenza economica: sono stata costretta a chiudere la mia attività. Senza entrate, con un affitto alto, non riuscivo più a pagare. E da lì è partito tutto: lo sfratto, la paura, l’incertezza.
Sì. Sono arrivata da loro proprio per il mio sfratto. Da sola non ce l’avrei fatta. Quando sei una donna vittima di violenza e perdi la stabilità economica, ti fanno ancora più paura. A me dicevano chiaramente: “Se non hai un posto dove stare, ti togliamo i bambini”. È lì che ho capito che dovevo reagire.
L’idea che se non mi facevo sentire, avrei perso tutto. Ho iniziato a partecipare alle battaglie con Unione Inquilini, ai presidi sotto il Dipartimento Politiche Abitative, agli incontri con l’assessore. Ho capito che unisco la mia voce a quella degli altri. E che davvero l’unione fa la forza.
Sì. Posso dire che una parte della battaglia l’ho vinta: ho ottenuto l’assegnazione della casa popolare che aspettavo da tantissimi anni. E soprattutto non mi hanno portato via i bambini. Per me è stata la vittoria più grande.
È una rinascita. Ora lavoro insieme a Silvia Paoluzzi allo sportello di Unione Inquilini. Aiuto le persone che arrivano come arrivai io: con le valigie, con la paura negli occhi, senza sapere da dove iniziare. Voglio che nessuno si senta solo come mi sono sentita io.
Mi sono messa in gioco dall'altra parte del tavolo. È il mio modo per restituire quello che ho ricevuto.
Che la paura ti può fermare, ma non ti salva. Che non deve restare sola. E che ci sono luoghi e persone che possono fare la differenza, come hanno fatto per me.
E che sì, si può ricominciare.
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