
«Questa notizia ci conferma come all'interno dell'Europa non ci può essere spazio per Paesi che calpestano la dignità delle persone lgbtqia+. I confini tra Stati non possono essere muri invalicabili soprattutto quando si parla di diritti e di dignità umana».
Così interviene Marilena Grassadonia, Coordinatrice Politiche Diritti LGBT+ di Roma Capitale, raggiunta da La Capitale per un commento sulla sentenza della Corte di giustizia dell’UE che impone agli Stati membri di riconoscere i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti legalmente in un altro Paese dell'Unione europea.
«Essere cittadini europei significa avere la libertà di poter scegliere in che Paese vivere senza che pochi chilometri di differenza possano condizionare il diritto alla felicità. È ora che il Parlamento italiano si adegui dimostrando di essere all’altezza della situazione. Serve procedere velocemente a legiferare affinché il matrimonio egualitario diventi realtà anche in Italia», continua Grassadonia.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che uno Stato membro deve riconoscere il matrimonio tra due cittadini UE dello stesso sesso, legalmente contratto in un altro Paese, quando questi hanno esercitato la loro libertà di circolazione e soggiorno.
La decisione deriva dal caso di due cittadini polacchi sposati in Germania che avevano chiesto la trascrizione del loro matrimonio nel registro dello stato civile polacco, rifiutata dalle autorità nazionali perché il diritto polacco non prevede il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Secondo la Corte, il rifiuto viola la libertà di circolazione e il diritto alla vita familiare. Gli Stati membri devono riconoscere lo status matrimoniale acquisito all’estero, senza essere obbligati a introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel proprio ordinamento interno. Essi possono scegliere le modalità di riconoscimento, ma, se esiste una procedura unica di trascrizione, questa deve applicarsi anche ai matrimoni egualitari.
La sentenza parla alla Polonia ma anche indirettamente all'Italia, Paese membro dell'Ue dove non esiste una legge per il matrimonio egualitario e dove l'unica normativa riguarda le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Anche per questo il tema ha acceso il dibattito politico nel Paese.
Il senatore Ivan Scalfarotto (Italia Viva) ha ribadito la necessità di un intervento legislativo: «Siamo tutti uguali davanti alla legge. Se gli europei possono muoversi liberamente, devono poterlo fare anche insieme ai loro coniugi. L’Italia è l’unico Paese dell’Europa occidentale ancora discriminatorio». Una visione concordata dal segretario di Più Europa Riccardo Magi: «L’Italia deve adeguarsi alla sentenza - commenta -. Non possiamo ritrovarci davanti a nuovi casi in cui il governo rifiuta di registrare i figli di coppie dello stesso sesso. Le contrarietà della destra sono antistoriche e illiberali».
Contrario alla pronuncia è invece Antonio Brandi, presidente di Pro Vita & Famiglia, secondo il quale «la Corte vuole imporre il riconoscimento di un modello ideologico di famiglia che Paesi come la Polonia rifiutano. In Italia la sentenza riguarda solo un riconoscimento burocratico dell’atto formato all’estero per specifici fini di circolazione e soggiorno».
Con la nuova sentenza della Corte di Giustizia dell'UE nel pratico non cambierà nulla per i cittadini italiani. «Oggi all'atto pratico non cambia molto con questa sentenza - spiega Grassadonia -. Chi aveva contratto un matrimonio egualitario all'estero, nel momento in cui chiede la trascrizione nel nostro Paese, questo atto viene declassato a un matrimonio civile».
Nulla toglie che la sentenza possa aprire la strada a una discussione politica più ampia sul tema, dato che comunque spetta sempre al Parlamento di ogni singolo Stato legiferare sul tema.
Nella visione della Coordinatrice Politiche Diritti LGBT+ di Roma Capitale traspare però dell'ottimismo per il futuro. Tra le forze progressiste, infatti, il tema è ampiamente condiviso e anche tra i banchi di Forza Italia, ora al governo, ci sono diverse voci che si sono dette aperte a una discussione in merito.
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