
L’89% degli italiani intervistati da Amnesty Italia afferma che la violenza contro le donne è un fenomeno diffuso. Nel contempo, ben il 93% chiede che le scuole attivino programmi di educazione affettiva, mentre il 94% sostiene anche percorsi di educazione sessuale. Questi numeri, emersi dal recente sondaggio commissionato dall’Ong a Ipsos Italia, delineano non solo una preoccupazione sociale molto alta, ma anche una forte richiesta educativa: la popolazione vede la scuola come uno spazio cruciale per intervenire e prevenire.
Secondo Amnesty, la percezione dell’aumento della violenza è radicata: il 71% degli intervistati ritiene che i casi siano cresciuti negli ultimi anni. Oltre a questo, emergono stime molto più alte rispetto ai dati istituzionali: gli intervistati stimano che 49 donne su 100 abbiano subito molestie o violenza sessuale almeno una volta nella vita, una cifra superiore al 32 per cento rilevato dall’Istat in uno studio che cercava proprio di «conoscere l’ammontare delle vittime della violenza maschile, includendo anche le esperienze subite e mai denunciate alle autorità», ma inferiore al 51 per cento circa rilevato dal Cnr in merito al numero di donne vittime di violenza fisica o psicologica.
Dallo studio non viene specificata una causa percepibile per giustificare lo scarto, se non proprio la consapevolezza diffusa di un ampio “sommerso” la cui percezione potrebbe essere più ampia di quella attuale o che, almeno, emerge dallo studio Istat.
È nello stesso studio che si legge come «la violenza rilevata sia ancora molto sommersa. Considerando le donne che hanno subito più violenze nella loro vita da parte di qualsiasi autore, il 13,3% (circa 537mila donne) ha denunciato almeno una delle violenze fisiche o sessuali che ha subìto».
Questa realtà amplia il significato dei dati di Amnesty: non stiamo parlando solo di percezione, ma di uno specchio potenzialmente più veritiero di un fenomeno che molte volte rimane meno visibile. Se quasi tutti gli italiani riconoscono la gravità del problema, la maggioranza chiede di agire fin dalla scuola — non semplicemente insegnando anatomia o salute, ma educando a emozioni, consenso, rispetto, relazioni.
Nel report di Amnesty, quando si parla di educazione affettiva, la risposta è netta: il 93% è favorevole all’introduzione di programmi nelle scuole, con una parte significativa che desidera iniziare già in età prescolare. L’84% ritiene che non si debba aspettare oltre le medie, mentre il 42% proporrebbe di cominciare sin dalle scuole dell’infanzia.
Tra i genitori con figli in età scolare, il sostegno sale ancora di più: 95% favorevoli, con una preferenza marcata per un intervento tra il percorso alle elementari e le medie.
Sul versante dell’educazione sessuale, la richiesta è altrettanto forte: il 94% del campione supporta il suo inserimento nei curricola scolastici.
Nonostante le differenze generazionali su “quando iniziare” emergano — la GenZ propende per iniziare dopo i 14 anni, mentre i Baby Boomers preferirebbero partire fin dall’infanzia — prevale una visione condivisa: educare alla sessualità non è un tabù, ma parte integrante della prevenzione della violenza.
C’è però una questione che divide: il consenso scritto dei genitori. Secondo il sondaggio, il 56% del campione teme che un obbligo di firma possa diventare un ostacolo burocratico o escludere alcuni studenti, mentre il 39% lo appoggia, vedendolo come garanzia di trasparenza e responsabilità familiare. Tra i genitori di bambini in età scolare, la divisione è quasi netta: 49% contrari, 47% favorevoli.
In definitiva, il report di Amnesty Italia non solo conferma una preoccupazione sociale ampia e diffusa sulla violenza di genere, ma la collega chiaramente alla necessità di educazione nelle scuole.
Numeri elevati di consenso, combinati con dati sul sommerso, mostrano come l’educazione affettiva e sessuale non sia solo un desiderio, ma una richiesta urgente di tutta la società: uno strumento essenziale non solo per informare, ma per prevenire, dare linguaggio e responsabilità, e costruire una cultura del rispetto.
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