Roma non sfugge alla corsa dei prezzi che potrebbe trasformare uno dei rituali più amati dagli italiani in un lusso. Oggi bere un espresso al bar a Roma costa in media 1,19 euro, ma secondo un’analisi del Centro studi di Unimpresa entro la fine del 2025 la tazzina potrebbe arrivare a 2 euro, con un aumento superiore al cinquanta per cento rispetto al 2020.
Un rincaro che rispecchia la tendenza nazionale ma che, allo stesso tempo, racconta molto più di una questione economica.
Alla base dell’impennata, spiegano gli analisti, c’è un intreccio di fattori globali e locali. I cambiamenti climatici hanno messo in ginocchio i raccolti di Brasile e Vietnam, che da soli producono metà del caffè mondiale. Siccità persistenti e piogge torrenziali hanno ridotto l’offerta, spingendo nel 2024 il prezzo dei chicchi grezzi fino a più ottanta per cento. A questo si sono aggiunti l’aumento dei costi energetici, che pesano sulla torrefazione, e la logistica internazionale, sempre più onerosa per congestioni nei porti strategici e per il raddoppio dei noli marittimi.
L’inflazione ha fatto il resto. Imballaggi, manodopera e materie prime hanno gonfiato i listini, mentre la speculazione sui mercati ha accentuato la volatilità, con i futures dell’Arabica che nell’agosto 2025 hanno sfiorato i 360 dollari per libbra (più quarantaquattro per cento in un anno). Infine, le nuove normative europee contro la deforestazione impongono tracciabilità e certificazioni, aumentando i costi per produttori e distributori.
Se al Nord il caffè è già vicino a 1,40 euro, con Bolzano e Trento tra le città più care, Roma si colloca in una fascia intermedia, con un prezzo allineato a quello di Firenze e Bologna. Al Sud, invece, resistono listini popolari. A Napoli si paga in media 1,08 euro, mentre a Catanzaro una tazzina resta sotto l’euro, caso unico in Italia.
Il mercato resta comunque robusto. In Italia si consumano 327 milioni di chili di caffè verde all’anno, pari a 5,5 chili pro capite, per un valore complessivo di 5,2 miliardi di euro destinato a superare i 6 miliardi entro il 2030. Crescono le capsule e le cialde, che già rappresentano il 16,2 per cento delle vendite nella grande distribuzione, e alcune aziende sperimentano alternative al caffè tradizionale, dai ceci ai semi di dattero.
«Il caffè pesa per meno dell’uno per cento sul bilancio delle famiglie – osserva Mariagrazia Lupo Albore, direttore generale di Unimpresa – ma ha un valore simbolico enorme. È il rito che accompagna il lavoro, la socialità, l’amicizia. Se diventa proibitivo, rischia di perdere la sua dimensione democratica e universale».
Il futuro dipenderà dai raccolti in America Latina e dalle dinamiche geopolitiche. Per ora, però, la proiezione è chiara: a Roma come nel resto d’Italia, il gesto più semplice e quotidiano rischia di trasformarsi in un piccolo lusso da 2 euro.
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