Sul palco dell’Italian Tech Week di Torino, il fondatore di Amazon ha detto ad alta voce ciò che molti pensano sottovoce: sì, l’AI è una bolla. Ma prima di gridare «ve l’avevo detto», vale la pena ascoltare il resto.
Perché Jeff Bezos, che di bolle ne ha attraversata almeno una da protagonista (quella delle dot-com che nel 2001 fece crollare Amazon da 113 a 6 dollari per azione), ha fatto una distinzione che dovremmo tenere a mente: esistono bolle finanziarie e bolle industriali. E non sono la stessa cosa.
Bezos ha raccontato un aneddoto illuminante. Mentre il titolo Amazon sprofondava del 95%, mese dopo mese tutti i numeri che contavano davvero miglioravano: nuovi clienti, acquisti ripetuti, margini lordi, efficienza operativa.
Il mercato votava contro, ma i fondamentali pesavano a favore. E alla lunga, ha vinto chi pesava. «Nel breve termine il mercato è una macchina per votare, nel lungo termine è una bilancia», ha citato Bezos riprendendo il celebre aforisma di Warren Buffett applicato all’intelligenza artificiale.
Tradotto: oggi i capitali stanno finanziando qualunque esperimento con l’etichetta “AI” sopra, e le valutazioni possono sbarellare. Ma ciò che si sta costruendo – infrastrutture, dataset, competenze, processi – resta. Proprio come i cavi in fibra ottica posati negli anni ‘90: molte aziende fallirono, ma l’infrastruttura creò valore per decenni. Il punto più interessante dell’intervento non riguarda la bolla in sé, ma la natura dell’intelligenza artificiale.
Bezos è stato netto: «L’AI è reale e trasformerà ogni industria». Non è un comparto verticale, è un livello orizzontale che attraversa manifattura, hospitality, servizi, retail. Come l’elettricità un secolo fa, come Internet trent’anni fa. Non si tratta di capire se adottarla, ma come farlo senza farsi travolgere dal rumore di fondo.
La sua ricetta operativa è quella che ha sempre applicato in Amazon: «Sii testardo sulla visione, flessibile sui dettagli». Se la visione è servire i clienti più velocemente, con maggiore affidabilità e a costi inferiori, gli strumenti per arrivarci possono (devono) cambiare. E oggi quegli strumenti si chiamano machine learning, automazione intelligente, algoritmi predittivi. Un altro passaggio che merita attenzione: «Se in business non guardi i dati, i competitor ti batteranno. Ma le decisioni che creano vere svolte nascono dall’intuizione». E poi si correggono rapidamente se sbagli. Applicato all’AI significa: misura tutto (qualità, produttività, tempi), ma lascia spazio a scommesse ragionate su nuovi workflow intelligenti. Con cicli di apprendimento corti, perché – come ha detto Bezos – «la realtà è imbattibile».
C’è un ultimo elemento che dovrebbe far riflettere chiunque stia pensando di “fare qualcosa con l’AI”. Bezos ha ricordato un aneddoto: un dipendente gli disse: «Ho abbastanza idee per distruggere Amazon». La risposta? «Il problema non sono le idee, è il ritmo con cui l’organizzazione può assorbirle». Tradotto: meglio pochi casi d’uso chiari e misurabili, eseguiti bene, che dieci progetti AI paralleli che creano solo confusione e code decisionali.
La sera prima dell’intervento di Bezos, circa duecento manifestanti – staccatisi dal corteo pro-Palestina contro il blocco della Flotilla diretta a Gaza – hanno assaltato le Officine Grandi Riparazioni di Torino, sede dell’Italian Tech Week.
A volto coperto, hanno sfondato cancelli e vetrate, divelto fioriere e porte, distrutto sedie, tavoli, maxischermi e computer con aste, torce e fumogeni. Minacciati anche i giornalisti che documentavano l’accaduto. L’obiettivo dichiarato della contestazione: impedire l’arrivo di Bezos, Ursula von der Leyen e John Elkann, accusati dai manifestanti di avere «le mani sporche del sangue palestinese».
Resta il paradosso. Le OGR sono uno spazio di rigenerazione urbana e innovazione aperto a tutti, che ospita eventi culturali, formazione, opportunità per migliaia di giovani torinesi. Devastarle per protestare contro policy internazionali significa colpire esattamente ciò di cui la città e quella stessa generazione hanno bisogno: luoghi dove costruire competenze, lavoro, futuro. La violenza contro spazi di cultura e tecnologia cerca visibilità, ma ottiene l’effetto opposto: isola le cause che dice di difendere e distrugge patrimonio collettivo che non si ricrea a costo zero.
Tornando a Bezos e alla sua “bolla buona”: il messaggio per chi costruisce imprese, per chi governa risorse pubbliche, per chi deve decidere dove investire, è chiaro. Una correzione del mercato non invalida i fondamentali. L’AI non è hype: è infrastruttura produttiva. E come tutte le infrastrutture, va costruita con metodo, misurata con rigore, governata con visione lunga.
Il punto non è se l’intelligenza artificiale cambierà il nostro modo di lavorare, produrre, servire i clienti. Il punto è quanto tempo vogliamo perdere a guardare le valutazioni di Borsa invece di costruire i fondamentali che fra cinque anni faranno la differenza. Perché, come ha ricordato Bezos citando se stesso: chi ha ragione spesso è chi cambia idea spesso. La realtà è imbattibile.
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