
Niente più keybox, né documenti inviati via WhatsApp. Per gli ospiti che soggiornano in strutture ricettive e affitti brevi resta obbligatoria l’identificazione in presenza. È l’effetto della decisione con cui il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del Tar del Lazio del 27 maggio 2025, che aveva sospeso la circolare del Viminale sul riconoscimento «de visu».
Si torna dunque alle regole fissate dal ministero dell’Interno un anno fa: l’accoglienza da remoto non è ammessa. Host e gestori devono ricevere il documento d’identità, trasmetterlo alle autorità e verificare personalmente che chi entra nella struttura sia la stessa persona indicata nel documento.
Nel giudizio d’appello, il Viminale ha ribadito che la verifica fisica dell’identità è uno strumento decisivo per la sicurezza. Un esempio recente è l’operazione di polizia avvenuta a Viterbo il 3 settembre 2025, durante la «processione della Macchina di Santa Rosa»: due cittadini turchi alloggiati in un B&B furono arrestati dopo il ritrovamento di armi da fuoco nella loro stanza. L’allarme era scattato proprio grazie al titolare della struttura, insospettito dal fatto che un documento inviato via WhatsApp non corrispondesse alla persona presentatasi all’arrivo.
«La decisione del Consiglio di Stato che conferma l’obbligo di riconoscimento de visu degli alloggiati rafforza la sicurezza e chiarisce in modo definitivo le regole per tutte le strutture, comprese le locazioni brevi», ha dichiarato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.
La verifica diretta dell’identità, ha aggiunto, tutela sia i viaggiatori sia i residenti delle aree più esposte, oltre a supportare l’attività delle forze dell’ordine.
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