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Tra attesa e inquietudine, le operazioni di scavo alla Casa del Jazz sono ripartite nel punto esatto dove sabato sono state effettuate le ultime scansioni. Qui, secondo l’ipotesi dell’ex giudice Guglielmo Muntoni, potrebbero trovarsi i resti del magistrato Paolo Adinolfi, scomparso il 2 luglio 1994.
Nel complesso sorto sulla villa che fu di Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana, gli inquirenti stanno tentando di riaprire un tunnel sotterraneo mai esplorato e ritenuto murato da decenni. Sul posto operano carabinieri, gdf e polizia, pronti a intervenire qualora emergessero elementi rilevanti.
L’eco degli scavi ha toccato anche la famiglia Orlandi: «Ogni volta che si scava da qualche parte a Roma - commenta in diretta a Rai1, Pietro Orlandi - si pensa sempre ad Emanuela. Io spero che non stia là sotto». Ha ricordato l’ansia già provata per l’apertura delle tombe del Camposanto Teutonico e ha aggiunto: «A me sconvolgerebbe, ma se si arriva a quel punto sarebbe un passo avanti» conclude.
Orlandi ha rivelato l’incontro con una persona che gli avrebbe parlato di un ex magistrato convinto che «là sotto ci sono più corpi». E ha chiarito: «Non è mai arrivata la segnalazione che i resti di Emanuela potessero stare lì sotto». Poi il nodo più delicato: «Sarebbe molto inquietante se si dovessero trovare i resti di Emanuela lì e la villa era ancora in mano al Vicariato».
Fuori dalla Casa del Jazz, Lorenzo Adinolfi ha spiegato: «C'è solo da aspettare: noi siamo qui solo con una speranza enorme, ma per noi è anche un dolore infinito». Ha risposto con fermezza ai cronisti: «È mio padre, è normale che io sia qui».
Sulle possibili rivelazioni alla base dello scavo, ha ribadito: «Lo dovete chiedere agli inquirenti, noi siamo le vittime». E con amarezza ha sottolineato l’assenza di attenzione mediatica nel passato: «Spiace che solo dopo 30 anni vedo questo numero incredibile di giornalisti».
Il quadro si arricchisce con le parole di Franco Piacentini, ex inquilino della storica Villa Osio: «Lì c'era una cantina, una trentina di scalini e c'era una scala che consentiva di accedere e poi si arrivava fino alle catacombe». Ha ricordato che la botola sarebbe stata chiusa anni fa e che «per me qualche cosa sotto ci deve essere».
Piacentini, che ha vissuto nell’edificio tra il 1948 e il 1968, ha descritto la cantina come un ambiente fresco dove «ci mettevamo le bottiglie del vino», ma anche come il punto di accesso a una grotta che conduceva fino alle catacombe.
Ora si attende di capire se dal tunnel murato emergerà finalmente un frammento di verità.
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