
Dal 26 novembre 2025 al 29 marzo 2026 il Casino dei Principi dei Musei di Villa Torlonia ospita l’antologica «Antonio Scordia. La realtà che diventa Visione», a cura di Giovanna Caterina de Feo. Un appuntamento atteso: per ritrovare nella Capitale una mostra pubblica dedicata al pittore nato a Santa Fè nel 1918 da famiglia italiana bisogna infatti risalire al 1977.
L’esposizione porta al pubblico circa 80 opere tra tele, disegni e materiali d’archivio, provenienti dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, dalla collezione dell’artista e da importanti raccolte private.
Ben noto alla storiografia e alla critica, ma meno al grande pubblico, Scordia scelse Roma come città d’adozione dopo soggiorni a Parigi, New York e Londra. La mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura e Sovrintendenza Capitolina, prodotta e sostenuta dalla Galleria Mucciaccia con la collaborazione dell’Archivio Antonio Scordia. Supporto organizzativo a cura di Zètema Progetto Cultura.
Il percorso espositivo, distribuito su due piani, ripercorre gli albori della sua ricerca nel clima della Scuola romana. Tra i primi lavori figurano l’«Autoritratto», i ritratti di Valentina, il «Ritratto del Poeta Sinisgalli» e «La seggiola e il gatto», acquisita nel 1952 da Palma Bucarelli.
A seguire, l’evoluzione post-cubista con opere come «Innaffiatoio in giardino» e «Donna in poltrona».
La seconda metà degli anni Cinquanta segna l’avanzamento verso l’astrazione, maturato anche grazie alle mostre alla Galleria La Tartaruga. Tele come «Annuncio» e «Figura bianca» testimoniano una pittura in cui la forma sembra dissolversi e la realtà filtrare nella materia cromatica, secondo la lettura di Maurizio Calvesi, che definì la sua pittura «assediata dalla realtà».
Gli anni Sessanta e Settanta sono rappresentati da grandi tele come «Gorgone», «Grande frammento», «Grande interno» e da opere liriche come «Specchio blu» (1978), «Specchio rosa» (1982) e «Pietra lavica» (1986). Una fase in cui Scordia continua a confrontarsi con la realtà per trasformarla in linguaggio poetico.
La mostra si chiude con un focus sulle arti decorative: le ceramiche degli anni Quaranta e l’arazzo realizzato nel 1962 per la Turbonave Raffaello, anticamera del grande arazzo destinato al Ministero degli Affari Esteri, oggi nella Sala dei Trattati Europei «David Sassoli».
Il percorso include anche disegni mai esposti, provenienti dall’Archivio Scordia.
Nel 1979, in un’intervista a Luigi Lambertini, Scordia affermava: «Per me il privato può diventare sociale. Ho fiducia nella mia immaginazione, ma è la forma che conta, alla fine, e la chiarezza del linguaggio».
La sua opera fu seguita da Lionello Venturi, Toti Scialoja, Leonardo Sinisgalli, Lorenza Trucchi, Enrico Crispolti e Giulio Carlo Argan, che nel 1974 sottolineò la sua coerenza: «Non ha mai fatto il passo più lungo della gamba, ma neppure un passo all’indietro».
In catalogo, Giuseppe Appella lo definisce «un pittore di livello internazionale» ricordando come «un velo d’oblio sembra averlo coperto dopo la sua morte», ma ribadendo che «l’arte sopravvive alle sue rovine. E così fa quella di Scordia».
La mostra è accompagnata da una monografia edita da Silvana Editoriale, con saggi della curatrice e contributi di studiosi come Gregorio Botta, Carlo Alberto Bucci e Giulia Silvia Ghia.
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