La bandiera della Palestina sventola sul palazzo Senatorio accanto a quella con il fiocco giallo per la liberazione degli ostaggi isrealiani rapiti da Hamas il 7 ottobre 2023. È questo l’esito di una vicenda che negli ultimi giorni ha attraversato l’aula Giulio Cesare e acceso il dibattito politico, approdata domenica 21 settembre in piazza del Campidoglio con l’esposizione congiunta dei simboli come gesto di pace, solidarietà e convivenza. Ma cos'è sccuesso?
Il percorso era iniziato giovedì 18 settembre, quando l'assemblea capitolina aveva approvato a larga maggioranza una mozione presentata dal Partito democratico e sostenuta dal Movimento 5 Stelle. Il testo impegnava il sindaco Roberto Gualtieri e la giunta non solo a issare la bandiera palestinese sul palazzo Senatorio, ma anche a condannare le violazioni del diritto internazionale umanitario e a sollecitare il governo italiano al riconoscimento dello Stato di Palestina. La mozione prevedeva inoltre lo stop al memorandum del 2013 tra Acea e la compagnia israeliana Mekorot, pur rimasto privo di effetti operativi negli anni successivi.
Quel voto, che aveva visto convergere 31 consiglieri con un solo astenuto, aveva acceso le polemiche. La capogruppo dem Valeria Baglio aveva rivendicato la scelta come «un atto di umanità» e non di parte, mentre la capogruppo del M5s Linda Meleo aveva sottolineato che «non si tratta di un torto alla comunità ebraica, ma di una posizione necessaria davanti a una tragedia disumana». Da Italia viva e Forza Italia erano invece arrivate richieste di bilanciamento, con la proposta di esporre anche la bandiera di Israele in nome della prospettiva dei due Stati e della convivenza pacifica.
Il giorno successivo, venerdì 19, la maggioranza aveva diffuso una nota per chiarire la portata politica della decisione. «L’esposizione della bandiera palestinese – scrivevano i capigruppo – non rappresenta in alcun modo un’offesa alla Comunità ebraica né un sostegno ai terroristi di Hamas. Roma sarà sempre casa sicura per gli ebrei, che qui affondano radici millenarie, e il nostro impegno resta quello di costruire una pace giusta e duratura fondata sulla logica dei due popoli e due Stati». Il testo ricordava anche la ferita ancora viva dell’attentato del 1982 alla Sinagoga, in cui fu ucciso il piccolo Stefano Gaj Taché, definito «il nostro bambino» dalla memoria collettiva della città.
Domenica 21 settembre la vicenda ha trovato un punto di sintesi simbolica: sul palazzo Senatorio sono state issate sia la bandiera della Palestina sia con il fiocco giallo in segno di solidarietà con gli ostaggi. Un gesto che, come spiegato dal Campidoglio, intende riaffermare Roma come «città universale, aperta, simbolo di dialogo e di rispetto reciproco».
Infine lunedì 22, in occasione di Rosh Hashanà, il capodanno ebraico, il sindaco Gualtieri ha voluto rivolgere un messaggio diretto alla comunità ebraica capitolina. «Roma è profondamente legata alla sua comunità ebraica, parte viva e preziosa della nostra storia e della nostra identità. Che questo nuovo anno – ha dichiarato – porti serenità e amicizia. Shaná Tová».
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