Oggi tocca al rione Parione, il sesto, dove è nata nonna Anna, a piazza del Paradiso 30 al 4° piano senza ascensore, ormai 90 anni fa.
Il rione si chiama così dal “parietone”, un muro gigantesco che faceva parte dello stadio di Domiziano. Se hai tempo, alcuni resti del muro e dello stadio puoi vederli nei sotterranei dell’area archeologica, accessibile da via di Tor Sanguigna, lato nord di piazza Navona. Quello di Domiziano era il primo stadio in muratura costruito a Roma dove si tenevano competizioni atletiche: corsa, lotta, pugilato ma c’era posto anche per l’arte; nel complesso nell’area chiamata Agon Capitolinus , durante feste pubbliche, si tenevano competizioni artistiche, poesia, musica.
Dove comincia e finisce il Parione? Non è semplice dirlo: come sempre, i confini di un rione romano sembrano tracciati a mano libera. Il lato ovest parte da Vicolo Cellini — un tempo chiamato “Calabraga”, nome giudicato indecente e cambiato nel 1871 in onore di Benvenuto Cellini (1500-1571), celebre orafo fiorentino. Si attraversa Corso Vittorio Emanuele all’altezza di piazza della Chiesa Nuova, dominata dall’Oratorio dei Filippini di Borromini, e si imbocca via dell’Orologio, con la torre voluta da Gregorio XIII, che per secoli scandì le ore del quartiere.
Da lì, si prosegue per via del Corallo, un tempo legata al commercio di gioielli e corallo appunto, fino a via del Governo Vecchio, oggi regno di librerie, negozi vintage e trattorie. Si arriva così a piazza del Fico, con il suo albero leggendario: qualche decennio fa ritrovo di giocatori di carte e scacchi, da quando ricordo, cuore della movida fighetta romana.
All’anglo, giri sulla sinistra e imbocchi via della Pace, dove inizia il confine nord del rione. Qui la chiesa di Santa Maria della Pace con accanto il chiostro del Bramante da molti anni sede di un museo privato che da anni propone a Roma le più stimolanti mostre d’arte contemporanea. Adesso, in cartellone, la mostra Flowers: dal Rinascimento all’Intelligenza Artificiale ma negli anni Banksy, a Visual Protest(2020-2021) dell'artista e writer britannico, Infinity di Michelalgelo Pistoletto (2023), la mia preferita, dedicata all’"arte senza limiti" dell’artista ed Emotion: l’arte contemporanea racconta le emozioni (2024-2025). Poco prima, sulla sinistra, lo storico Caffè della Pace, una sorta di “Café de Flore” “de no antri”. Poi, per via di Santa Maria dell’Anima, fino aLargo di Torre Sanguigna, nome che ricorda una torre medievale scomparsa e le lotte sanguinose tra famiglie nobili. Tenendo piazza Navona sulla destra, il lato nord continua lungo piazza Sant’Apollinare, luogo apparentemente tranquillo ma legato ai misteri degli anni ’80: qui s’incrociano le vicende del Vaticano, della Banda della Magliana e del caso Orlandi. Il confine nord, si chiude in piazza delle Cinque Lune, legata allo stemma degli Orsini ma, anche, alla storia recente: da un palazzo della piazza partì infatti il commando del rapimento di Aldo Moro, nel 1978.
In questa piazza, ha inizio il confine est, molto più lineare del precedente. Costeggia Piazza Navona sulla destra e corre lungo Corso del Rinascimento, lasciandosi sulla sinistra Palazzo Madama, nel Rione Sant’Eustachio l’VIII. Palazzo, che prende il nome da Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V e vedova di Alessandro de’ Medici, duca di Firenze, chiamata appunto “Madama” a Roma. Residenza dei Medici, fu poi sede pontificia, finché, dopo l’Unità d’Italia, venne scelto come sede del Senato del Regno (e poi della Repubblica).
Passando di lì, fare una capatina a Piazza Navona è d’obbligo. Arrivarci attraverso Corsia Agonale (dove da che ricordo io c’è sempre stato qualcuno pronto a leggerti la mano, le carte e, da quando sono andati di moda, i tarocchi), la strada di fronte all’entrata di Palazzo Madama, è il modo migliore: come vedere il campo dalla tribuna d’onore allo Stadio Olimpico. Eh sì, perché stai per entrare nell’antica pista dello Stadio di Domiziano. “Agone” voleva dire gara, competizione atletica. Poi noi romani, con il tempo, l’abbiamo fatto Navona.
Il nome della strada ti ricorda che qui, duemila anni fa, non c’erano fontane barocche, né turisti col gelato, ma atleti sudati che si giocavano la gloria davanti alla folla. Adesso, una sfilza di tavolini che occupa il perimetro della Piazza. Lì ci “caciara” ce n’è sempre stata: negli anni ’70 e ’80, turisti pochi; ricordo solo il bar gelateria i 3 Scalini: d’obbligo il tartufo al cioccolato con la panna. Sicuramente molti più pittori, macchiaioli e ritrattisti, ma anche quelli che ti facevano le caricature espresse; qualche carrozzella ma, soprattutto, tanti bambini che scorrazzavano o anche che giocavano a pallone, con porte improvvisate da maglioni lasciati sui sampietrini.
La vista del salotto barocco di Roma rimane però sempre straordinaria. Certo, non riesci a gustartela come alle 4 di mattina, dopo un bel cornetto caldo (un tempo a via del Governo vecchio adesso non saprei proprio): luci dei lampioni ambient e il silenzio notturno, interrotto dallo scroscio delle fontane. Anche in quel silenzio, però, mi distraeva l’aneddoto che conosco da quando ero bambino e, ormai, sanno anche a Shangai: la rivalità tra i due campioni del Barocco romano; la statua del Rio della Plata, della Fontana dei 4 fiumi realizzata dal Bernini, avrebbe la mano alzata per difendersi dalla facciata chiesa di Sant’Agnese in Agone, realizzata dal Borromini. Ti ricordi quali sono gli altri 3 fiumi?
Se continui parallelo alla linea di confine verso Palazzo Braschi, sede del Museo di Roma, ti faccio fare un “detour” che vale la pena. All’angolo di Palazzo Braschi, tra piazza Navona e via del Governo Vecchio, c’è un pezzo di marmo messo proprio male: niente braccia e senza naso. È Pasquino che dà il nome alla piazza. Ritrovata nel 1501, probabilmente un frammento di eroe greco, divenne subito la bacheca satirica di Roma. Qui comparivano foglietti anonimi, le famose pasquinate: versi diretti e scanzonati, ironici e, spesso, feroci che prendevano in giro i potenti, denunciavano ingiustizie e smascheravano gli scandali cittadini. Sì, anche un angolo del gossip ante litteram.
Non era “qualcuno” a parlare, era Pasquino stesso: la statua diventava la voce del popolo, protetta dall’anonimato e dalla complicità di tutti. E se il potere provava a zittirla, Pasquino rispondeva sempre, con un altro foglietto.
Tornando indietro, a Corso del Rinascimento, alla fine, dopo aver attraversato corso Vittorio Emanuele II, il confine continua per largo dei Chiavari, sulla sinistra la basilica di Sant’Andrea della Valle, Rione Sant’Eustachio (VIII), e sulla sinistra la prima sede dell’Insalata Ricca, che portò a Roma fine anni 80 la novità del primo ristorante dove non ti dovevi vergognare se ordinavi solo un’insalata, anziché uno dei tanti mattoni della cucina tipica romanesca.
Proseguendo verso Via dei Chiavari, sulla destra Largo del Pallaro, che negli anni ’70 e ’80 era famoso tra studenti e famiglie romane per un motivo preciso: il ristorante del Pallaro. Non c’era menù alla carta: con diecimila lire ti sedevi e ti arrivava tutto — antipasti a giro, primi abbondanti, secondi caserecci, contorni e dolce. Il vino della casa in abbondanza e, se chiedevi “che si mangia stasera?”, la risposta era sempre la stessa: “Quello che c’è”.
Lì accanto, la chiesa di Santa Maria in Grottapinta, detta anche dei Servi, ormai sconsacrata. La facciata è dimessa, ma i muri raccontano storie: dentro ci furono botteghe, depositi e persino un piccolo teatro. Qui, tra Cinque e Seicento, si allestivano spettacoli improvvisati, tanto che il popolo la ricordava come “teatro dei Servi” (oggi, il Teatro dei Servi a Roma è nei pressi di via del Tritone mentre accanto chiesa il Teatro dei Satiri che sorge su parte delle fondamenta dell’antico Teatro di Pompeo (il teatro in muratura inaugurato nel 55 a.C., cui si appoggiano alcune delle sue strutture).
Accanto alla chiesa di Santa Maria in Grottapinta, ti puoi infilare nel Passetto del Biscione, corridoio coperto che sbuca su piazza del Biscione. Oggi lo attraversi tra affreschi barocchi restaurati e luci moderne, ma per secoli fu un passaggio privato degli Orsini, concesso poi al popolo: una scorciatoia che nonna Anna, da bambina, usava con i suoi fratelli e cugini mentre giocava ad acchiapparella, per arrivare subito a Piazza Campo dei Fiori.
Il Passetto e Piazza del Biscione però erano anche il passaggio obbligato per andare a fare la spesa: ai civici 96, 97 e 98, dalla Macelleria Orelli (Orelli Carni di Orelli Carmine & C.), per comprare la carne, una volta alla settimana oppure il negozio che vendeva la carta: carta “da pacco” ma soprattutto, i fogli di carta semplice, usata anche come carta igienica da chi poteva permettersela. Non esistevano ancora i rotoli triplo strato: la scelta era fra fogli un po’ più raffinati (venduti apposta dai cartolai o droghieri) e, per chi non poteva permetterselo, la carta dei giornali dei giorni precedenti.
Nonna Anna, durante la guerra, usava il Passetto anche per raggiungere quello che allora era il rifugio antiaerei, nei sotterranei dell’ex Teatro di Pompeo che, per secoli, fu luogo di spettacoli e politica. Qui, nel portico, Giulio Cesare fu pugnalato dai congiurati. Oggi, dove una volta si stringevano famiglie intere per salvarsi dai bombardamenti, ceni tra le arcate romane nei ristoranti, come Da Pancrazio.
La linea est, del rione Parione, finisce con Via dei Chiavari e si chiude all’angolo con via dei Giubbonari, dopo aver passato il Forno Roscioli, al civico 34, quello della pizza bianca che, da più di un secolo, sfama studenti, impiegati e turisti con la stessa ricetta semplice e irresistibile. Adesso il suo pane lo vendono anche alla Conad: il gusto è diventato Pop.
Il perimetro dei rione, si chiude a sud, girando a destra all’angolo di via dei Chiavari per imboccare via dei Giubbonari dove, per decenni, i giovani romani si sono vestiti. Ma a via dei Giubbonari il gusto non è mai mancato: dal 1972 c’è la salumeria con cucina di Roscioli, ora locale gourmet che ha aperto anche a Soho - New York; almeno dagli anni ’50, nella piazzetta in via dei Giubbonari, si gusta il baccalà fritto Dar Filettaro a Santa Barbara (“Er Filettaro”), storico punto street food romano.
Alla fine di via dei Giubbonari il confine corre lungo piazza Campo dei Fiori.
Se Piazza Navona è il salotto buono, Campo de’ Fiori è il resto della casa, sempre in disordine. Navona è barocca, Campo è popolare. La mattina mercato, con i suoi odori che si fanno notare: spezie, frutta e pesce su tutto, che ogni giorno si monta e si smonta; la sera, diventa un locale a cielo aperto, o meglio, una bettola se mi lasci dire: qui studenti e turisti si mischiano e lasciano, purtroppo troppo spesso, un “quasi letamaio”. Per fortuna, la piazza viene pulita due volte al giorno la mattina presto e dopo il mercato. Tutto accade sotto la supervisione silenziosa e austera della statua Giordano Bruno: cappuccio calato, sguardo severo. Qui non si scherza: il filosofo arso vivo a Campo nel 1600 non è solo un monumento, è un monito, oltre ad essere l’eroe della laicità romana.
Per seguire l’ultimo lato del confine del rione Pairone, quello sud, cammina ortogonalmente lungo Campo dei Fiori e prosegui per via del Pellegrino, lasciandosi sulla desta il Palazzo della Cancelleria, con la sua piazza: il primo grande edificio rinascimentale di Roma. Perché questo nome? Elementare Watson, era la strada dei viandanti diretti a San Pietro, che qui si fermavano per una sosta nelle sue osterie.
Oggi la via è un susseguirsi di botteghe e locali e, a metà strada non puoi ignorare “Il Supplizio”, cucina romana in versione street food. Qui lo supplì si supera, fila e crocca come deve ma, oltre ai gusti tradizionali, lo chef Arcangelo Dandini senza esagerare, rende omaggio alla tradizione senza nostalgia. Proseguendo, via del Pellegrino ti porta fino a Vicolo Cellini, passata via dei Capitari, dove abbiamo iniziato il nostro giro.
Come è andata? Tanta roba? Un altro piccolo assaggio di Roma: tra passaggi segreti, chiese sacre e sconsacrate, barocco e rinascimento, piazze salotto e piazze popolari. Comunque, sempre cose buone da magna, accompagnate dai ricordi di Roma di quando nonna Anna era bambina e noi boomer eravamo adolescenti, dove i turisti erano dei nostri.
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