Roma, 24 novembre 2025
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Roma senza Papa: la fuga del 24 novembre 1848 e la nascita della Repubblica Romana

La notte del 24 novembre 1848 Pio IX fugge dal Quirinale travestito da prete. Roma resta senza Papa e diventa culla della Repubblica Romana del 1849, laboratorio democratico che anticiperà molti principi della Costituzione italiana

di Edoardo IacolucciULTIMO AGGIORNAMENTO 5 ore fa - TEMPO DI LETTURA 4'

È la sera del 24 novembre 1848. Nelle stanze del Palazzo del Quirinale il Papa Re Pio IX si traveste da semplice prete, sale su una carrozza chiusa con il conte e la contessa Spaur e scivola fuori da Roma lungo la via Appia. L’ambasciatore francese, con una carrozza in fiocchi, avrebbe distratto la Guardia Civica, il pontefice al quel punto va, e corre verso Terracina: la sera del 25 sarà già al sicuro a Mola di Gaeta, sotto la protezione del Regno delle Due Sicilie.

Da quel momento Roma è senza Papa. Il vuoto di potere nello Stato Pontificio è il preludio alla nascita della Repubblica Romana del 1849, laboratorio politico che segnerà il Risorgimento e, un secolo dopo, l’orizzonte della Costituzione italiana.

Dal Papa progressista alla città in rivolta

Solo due anni prima Pio IX era il papa “liberale” con tendenze populiste. Da nuovo sovrano manda a casa parte dei dipendenti del Quirinale, taglia i costi, e concede un’ampia amnistia che rimette in libertà circa 800 detenuti, apre spiragli di riforma amministrativa. È un mix di progressismo e leggero populismo: il popolo vede nel pontefice il campione del rinnovamento.

Tra i più ferventi sostenitori c’è Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio. Con il suo parlare popolano, nelle piazze esalta l’opera del Papa Re. A Roma aprono fogli politici e giornali satirici, la città scopre una stampa relativamente libera. Ma i ceti conservatori e illiberali osservano con crescente inquietudine da una parte, mentre il vento rivoluzionario del 1848 europeo rischia di travolgere anche questo ordine pontificio.

Arrivano le rivoluzioni: Palermo, Napoli, Vienna, Milano. Pio IX, stretto tra entusiasmo patriottico e timore di rompere con l’Austria cattolica, frena. Con l’allocuzione del 29 aprile si dichiara estraneo alla guerra agli Asburgo. È la rottura: l’uomo delle amnistie diventa, per i patrioti, il sovrano che abbandona la causa nazionale.

L’omicidio Rossi e i dieci giorni che portano alla fuga

Nell’autunno 1848 la crisi precipita. A Roma si succedono governi deboli; la Curia teme il contagio rivoluzionario, i democratici chiedono una costituente italiana. Il 15 novembre, giorno di riapertura del Parlamento, il nuovo capo del governo Pontificio (come fosse un premier) Pellegrino Rossi viene accoltellato a morte sulle scale del Palazzo della Cancelleria.

Il delitto non scuote la città come il Papa immagina: molti romani esultano, vedendo nell’assassinio del ministro il crollo dell’ultima diga conservatrice. Per Pio IX, invece, si apre un incubo politico. Per dieci giorni il pontefice vive chiuso nel Quirinale, si sente prigioniero in casa propria, circondato da una Guardia Civica sempre meno affidabile e da una piazza che chiede, come riportano le cronache dell’epoca: «un ministro democratico, la costituente, la guerra all’Austria».

Quando la folla arriva a puntare un cannone verso il palazzo, il Papa capisce che il suo potere assoluto è al capolinea. Di fronte ai diplomatici dirà che accettare quelle condizioni «sarebbe... abdicare». La soluzione sarà la fuga.

Gaeta, il vuoto di potere e l’ascesa del popolo romano

Partito il Papa, la macchina statale frana. Pio IX ha nominato una Commissione governativa, ma uno dopo l’altro i membri si dimettono. A Roma il potere reale passa al Circolo popolare e al Consiglio dei deputati, che prova persino a mandare una delegazione a Gaeta per convincere il pontefice a tornare: sarà respinta al confine per ordine di Ferdinando II.

Intanto a Roma, i quartieri popolari insorgono, soprattutto Trastevere. Nelle strade si rovescia l’ordine simbolico della teocrazia: copricapi cardinalizi e segni del potere clericale finiscono nel Tevere, inghiottiti dalla cloaca maxima all’altezza del ponte Palatino. Roma, città della teocrazia papale, diventa il centro della rivoluzione.

Il 12 dicembre il Consiglio dei deputati istituisce una «provvisoria e suprema Giunta di Stato» con pieni poteri. Da Gaeta, il 17 dicembre, Pio IX risponde con un motu proprio che definisce sacrilega l’usurpazione dei sovrani poteri. Ma la Giunta tira dritto: il 20 dicembre promette la convocazione di una Costituente romana.

Il 29 dicembre vengono indette le elezioni per il 21-22 gennaio: il suffragio è diretto e quasi universale maschile. Le cronache riportano grande entusiasmo anche femminile: molte donne esortano i mariti al voto. Alle urne si presentano in molti, anche religiosi. Sono oltre un terzo della popolazione dello Stato pontificio. I democratici moderati vincono.

La Repubblica romana

Il 5 febbraio 1849 si riunisce l’Assemblea eletta. Il dibattito è acceso, Giuseppe Garibaldi - ora eletto- vorrebbe votare subito sulla forma di governo, ma prevale la procedura parlamentare, sostenuta da Terenzio Mamiani. Nella notte tra l’8 e il 9 febbraio viene approvato il Decreto fondamentale che proclama la fine del potere temporale: «Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano».

«Roma. Repubblica. Venite». Il telegramma è chiaro, il destinatario meno. È per “Felice Casali”, città: Firenze. Il nome in realtà è quello di Giuseppe Mazzini, e a spedire la lettera è Goffredo Mameli. La mattina del 9 febbraio, dal Campidoglio viene proclamata la Repubblica Romana.

Dal 29 marzo 1849 il governo è affidato a un Triumvirato composto da Carlo Armellini, giurista moderato e garante della macchina amministrativa; Giuseppe Mazzini, l’anima politica e morale del progetto repubblicano; e Aurelio Saffi, giovane riformatore romagnolo, organizzatore instancabile della vita civile. È un esecutivo collegiale che tenta di dare forma, in condizioni eccezionali, a uno Stato moderno e popolare.

In poche settimane Roma compie una trasformazione impressionante: da capitale di uno Stato teocratico diventa un laboratorio di democrazia radicale. Il Triumvirato introduce il suffragio universale maschile, abolisce pena di morte e tortura, sancisce la libertà di culto e la laicità delle istituzioni, promuove la divisione dei poteri, apre la via a una riforma agraria basata sui beni ecclesiastici e avvia misure per la tutela del diritto alla casa. È una «res publica» nel senso più alto e civico del termine: uno Stato costruito sul primato della legge, della partecipazione e della dignità umana. La costituzione romana è scritta sul quel tavolo che ancora si trova nella Sala delle Bandiere, a pochi passi dall'Aula Giulio Cesare, in Campidoglio. Promulgata a mezzogiorno del 3 luglio 1849.

Dall’assedio alla memoria costituzionale

Ma la Repubblica Romana ha vita breve. Il suo esperimento politico dura appena fino al 4 luglio 1849, quando l’intervento francese ordinato da Luigi Napoleone Bonaparte – un calcolo geopolitico travestito da restaurazione cattolica – schiaccia l’autogoverno repubblicano e restituisce a Pio IX il dominio su Roma.

Guidato dal generale Oudinot, a Roma, il colonnello Leblanc dice a Mazzini: «Gli italiani non combatteranno». Invece, l'assedio è durissimo, le linee difensive combattono con tenacia. Sul Gianicolo si consumano le giornate più eroiche: Garibaldi guida i volontari accorsi da tutta la penisola, il veneziano Enrico Dandolo, i bersaglieri lombardi di Luciano Manara resistono casa per casa, i giovani romani combattono fino all’ultimo. Appena due anni prima un giovane ligure aveva scritto «Il canto degli italiani». In quei giorni viene intonato come inno dai romani e dai combattenti italiani. Appena il tempo di vedere l'effetto e Goffredo Mameli, ferito a Villa Corsini, muore pochi giorni dopo, a 21 anni. Roma capitola.

Il sogno repubblicano viene soffocato, ma non cancellato. Intanto, il pontefice, dopo diciassette mesi d’esilio, tornerà a Roma e ripristinerà il controllo assoluto: abrogherà di fatto la Costituzione del 1849, reintrodurrà la pena di morte, restaurerà il ghetto ebraico e i privilegi della vecchia teocrazia. Ma non potrà cancellare la memoria di quella stagione.

Quando, nel 1948, entrerà in vigore la Costituzione della Repubblica italiana, molti vedranno nei suoi principi – centralità dei diritti, sovranità popolare, rifiuto dei privilegi di casta, laicità dello Stato – il riflesso lontano di quell’esperimento nato nella notte del 24 novembre 1848, quando un Papa in fuga lasciò Roma libera di chiamarsi, per la prima volta, Repubblica romana.

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