
Una scuola scossa, una comunità ferita e una lettera che vuole essere insieme una denuncia e un abbraccio. Dopo il ritrovamento, nei bagni del liceo Giulio Cesare di Roma, della cosiddetta «lista degli stupri» con i nomi di otto studentesse e uno studente, i genitori degli alunni hanno deciso di intervenire in modo netto e pubblico. Lunedì, il loro messaggio verrà letto in tutte le classi come un atto simbolico per dire che ciò che è accaduto non è un fatto minore, ma una ferita collettiva.
Il testo, firmato da «una madre e un padre, due che non si voltano dall’altra parte», si rivolge direttamente a chi ha tracciato quei nomi sui muri.
Non sappiamo chi siete, ma sappiamo cosa avete fatto.
La lettera non indulge a toni inquisitori, ma chiama le cose per nome. Quella lista non è una goliardata, ma una forma di violenza.
Non le avete viste come persone, ma come bersagli
La lettera affonda il colpo su ciò che più spaventa le famiglie: la disumanizzazione.
Il problema non è quello che avete scritto di loro, ma quello che rivela di voi.
Il gesto è descritto come un riflesso di un potere che scivola via, un modo antico di riportare soprattutto le ragazze al loro corpo oggettificato.
Poi l’invito a mettersi nei panni degli altri: che effetto farebbe leggere in quella lista il nome di una sorella, di una compagna, di qualcuno che si ama? L’obiettivo è smontare l’illusione che si tratti di qualcosa di innocuo.
Il caso ha avuto risonanza nazionale e ha spinto il Ministero dell’Istruzione ad annunciare verifiche e provvedimenti. Ma, nel frattempo, la prima risposta concreta arriva proprio dalla scuola: studenti, docenti e genitori scelgono di trasformare lo shock in un’occasione di confronto e responsabilità.
La comunità del Giulio Cesare non intende lasciar correre. Quei nomi, scrivono i genitori, rappresentano simbolicamente tutti gli studenti e le studentesse. Nessuno deve sentirsi colpito da solo, e nessuno deve pensare che un gesto del genere possa essere cancellato con una risata o un silenzio.
La conclusione è un invito duro ma aperto, rivolto a chi ha scritto quella lista e chiamato a uscire dall’anonimato, ad assumersi la responsabilità di ciò che ha fatto e, soprattutto, a scegliere chi vuole diventare.
Non c’è spirito punitivo, ma educativo.
Ora sta a voi decidere se continuare su quella strada o diventare qualcosa di migliore.
Perché la violenza non mette a tacere le voci, le amplifica. E questa volta tutta la scuola le ha sentite.
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