
A distanza di alcuni giorni dal No Kings Day, la grande giornata di protesta contro le politiche del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, resta viva la riflessione sul significato politico e civile di quella mobilitazione che ha coinvolto milioni di persone in centinaia di città statunitensi - e non solo.
Il 19 ottobre, anche Roma è stata tra le tappe del movimento: un presidio organizzato in piazza dei Santi Apostoli da Democrats Abroad Italy, la sezione italiana del Partito Democratico statunitense, insieme a cittadini statunitensi residenti o di passaggio. Un’iniziativa che ha voluto testimoniare solidarietà alle manifestazioni negli Stati Uniti, dove l’opposizione a Trump si concentra oggi innanzitutto sulla difesa del Primo Emendamento della Costituzione Usa e contro la stretta autoritaria in atto.
In un momento in cui i democrats sembrano ancora divisi sulla strategia da seguire, tra chi continua a basare la mobilitazione sul “no a Trump” e chi chiede una riformulazione dei temi sociali, economici e ambientali, il No Kings Day ha rappresentato un segnale di rinnovata partecipazione.
Ne abbiamo parlato con Helenka Kinnan, presidente del Southern Chapter di Democrats Abroad Italy, la sezione che dal nord del Lazio a Lampedusa riunisce gli expat tra i democratici Usa che vivono nel centro-sud Italia.
Sabato c’è stata una giornata di protesta contro le politiche del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in particolare concentrate sulla repressione dei diritti del Primo Emendamento della Costituzione statunitense. Qual è la vostra considerazione sul clima che si sta vivendo negli Stati Uniti?
«Ho vissuto in Italia per quasi quarant’anni e ora guardo il mio Paese d’origine con occhi diversi. Quello che vedo non mi piace. Ricordo un tempo in cui democratici e repubblicani volevano più o meno le stesse cose — buone scuole, ospedali efficienti, cibo sicuro, aria pulita — ma differivano nei mezzi per ottenerle. Oggi non è più così.
I democratici vogliono ampliare l’accesso alla sanità, estendendo l’Affordable Care Act introdotto da Obama. I repubblicani, invece, sembrano più preoccupati di non concedere cure a qualcuno che ritengono indegno (leggi: immigrati o minoranze) anche a costo di togliere l'assistenza sanitaria a milioni di cittadini statunitensi.
Anche la libertà di parola è a rischio. Il Primo Emendamento sembra valere solo per chi dice ciò che il presidente approva. Alcune università sono state costrette a firmare documenti in cui si impegnano a non insegnare argomenti sgraditi all’amministrazione. Ai giornalisti del Pentagono è stato chiesto di non cercare attivamente informazioni, ma di limitarsi a riceverle dal governo. Mi sembra il comportamento di un potere autoritario, e il fatto che qualcuno lo ritenga normale è terrificante».
Tra i motivi che sembrano accendere maggiormente gli animi delle proteste ci sono quelle legate alle deportazioni ad opera dell’ICE (l’Agenzia per il controllo dell'immigrazione e delle dogane). Come state vivendo questa situazione da Roma?
«Con orrore e indignazione. Agenti dell’ICE mascherati, senza tesserino di riconoscimento, fermano cittadini e non cittadini, li spingono in auto senza contrassegni, li arrestano senza mandato e li tengono rinchiusi per giorni senza che possano contattare un avvocato o i familiari.
Vorrei che più persone protestassero per questo. Invece, sui social di destra, leggo commenti come “Ben fatto”, “Deportatene altri, signor Presidente!”. È agghiacciante.»
Come Democrats Abroad avete contatti con persone che scelgono di trasferirsi in Italia dagli Stati Uniti? Le attuali politiche del governo Trump sono riconosciute come delle causanti per tali movimenti?
«Sì, molti statunitensi che si trasferiscono all’estero — non solo in Italia — entrano in contatto con noi tramite i social o il passaparola. Li aiutiamo a restare informati e a votare dall’estero.
Le ragioni per cui si spostano sono diverse: economiche, familiari, politiche. Ma sì, conosco persone che si sono trasferite proprio a causa di Trump. Io stessa, molti anni fa, lasciai gli Stati Uniti per motivi simili, durante un’altra amministrazione repubblicana».
Dopo la sconfitta alle elezioni dello scorso novembre, il Partito Democratico Usa sembra stia vivendo una ricalibrazione. Un esempio è quello dato dal candidato per la città di New York Zohran Mamdani, capace di vincere le primarie contro un rappresentante dell'establishment di partito come Andrew Cuomo. Pensate che la crescita di consenso nei confronti di Mamdani potrebbe portare a dei ripensamenti anche all’interno del partito?
«Credo che la sua crescente popolarità stia creando qualche difficoltà all’interno del partito, il che è naturale per un partito ampio come il nostro. I democratici rappresentano una vasta gamma di posizioni, e non è sempre facile unirsi dietro una sola figura.
Parlo ora come ex newyorkese, non come membro dei Democrats Abroad: spero che Mamdani vinca e che riesca a governare bene. Non sarà facile, ma gli auguro di riuscirci».
Sono previste nuove iniziative nei prossimi giorni?
«Sempre. Durante tutto l’anno organizziamo eventi, online e in presenza. Il nostro grande impegno inizierà a gennaio con la preparazione alle elezioni di medio termine del novembre 2026.
Dal momento che gli statunitensi all’estero devono registrarsi per tempo, partiremo con la International Voter Registration Day del 15 gennaio e continueremo in tutta Italia nei nostri tre capitoli territoriali».
Foto di Liana Miuccio, Democrats Abroad Italy
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