
«Dopo che ho fatto un lavoro diverso come sovrintendente all'interno del Comune di Roma, è venuta finalmente l'occasione e lo spinto di Claudio a realizzare finalmente questa mostra che avevo sognato all'interno degli anni '70». Così l’archeologo Eugenio La Rocca presenta «La Grecia a Roma», nuovo appuntamento dei Musei Capitolini a Villa Caffarelli, curato con Claudio Parisi Presicce.
Fino al 12 aprile 2026 questo corpus eccezionale di 150 capolavori originali greci, alcuni mai esposti prima, che svelano l’incontro artistico che ha contribuito a ridefinire il concetto di bellezza nell'antica Roma.
Lo studioso chiarisce il titolo: «La Grecia a Roma, già il titolo può essere in qualche modo un tentativo di spiegare che cosa intende mostrare questa esposizione. Non è la Grecia conquista Roma secondo la logica della frase iguanaziana che tutti conoscono». Il cuore del progetto è un altro: «Questa mostra vuole inizialmente spiegare che in realtà oggetti originali greci, manufatti e anche opere d'arte sono giunte a Roma ben prima che Roma conquistasse la Grecia».
Già «negli stessi anni in cui secondo la leggenda Roma veniva fondata, troviamo alle rive del Tevere frammenti originali di ceramiche realizzate in Eubea», prova di una rete di scambi che univa Grecia, Campania, Lazio ed Etruria. Dalla fondazione fino al III secolo a.C. Roma riceve e adotta l’arte greca; poi, alla fine del III e all’inizio del II secolo a.C., «Roma non è più solo interessata a recuperare opere d'arte greche, ma vuole che queste opere d'arte abbiano un significato per i Romani».
Nel percorso risaltano i luoghi della città antica: i corredi aristocratici dell’Esquilino e degli orti del Quirinale, ma anche i bronzi emersi in vicolo delle Palme a Trastevere, oggi vicolo dell’Atleta. Da qui provengono «il bellissimo cavallo di bronzo» e il frammento del toro, «anch'esso sicuramente pertinente perché è un'opera d'arte di altissimo livello greco», oggi riuniti in mostra.
Molte opere ricordate da La Rocca «erano esposte, per esempio, nel portico di Ottavia, al Teatro Marcello, ai Fori imperiali», come «prede belliche» che esibivano «il trionfo dei romani». Caso emblematico il Tempio di Apollo Medico, detto anche Apollo Sociale, con il frontone da Eretria: l’unamazonomachia che in Grecia alludeva alla vittoria sui Persiani a Roma «venne a significare la vittoria di Augusto su Cleopatra».
Dal II secolo a.C. in poi, sottolinea La Rocca, «non c'è più solo una recensione passiva di opere d'arte… ma i Greci lavorano per i Romani, eseguono opere d'arte per i Romani».
Il sovrintendente Claudio Parisi Presicce riassume il senso dell’esposizione: «Rispetto al novero di quelle che si sono salvate sono molte: soprattutto sculture - precisa -, ma non solo. Il tema è quello di raccontare questo rapporto fecondo tra la cultura greca e Roma che inizia da subito. Quando diverse comuniita prendono possesso dei colli della Capitale, quindi intorno agli anni della sua fondazione».
Sculture, rilievi, ceramiche e bronzi provenienti dai Musei Capitolini e da altre istituzioni tornano a dialogare negli spazi di Villa Caffarelli. Il filo rosso che unisce Esquilino, Trastevere, Tevere e antichi horti mostra come l’arte greca, arrivata in città molto prima della conquista della Grecia, abbia contribuito a far splendere Roma e a definire il suo immaginario artistico.
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