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Saviano-Salvini, la storia moderna d'Italia in tre post su Facebook

  • Edoardo Iacolucci
  • 2 ore fa
  • Tempo di lettura: 6 min

Salvini in aula contro Saviano per diffamazione: «Ministro della mala vita» e accostamenti alla 'ndrangheta al centro del processo

Matteo Salvini e Roberto Saviano, nell'aula 27 del tribunale di piazzale Clodio (La Capitale)
Matteo Salvini e Roberto Saviano, nell'aula 27 del tribunale di piazzale Clodio (La Capitale)

La storia moderna d’Italia è pubblica come tre post su Facebook. È da lì che parte il processo per diffamazione che vede oggi Matteo Salvini in aula come persona offesa e Roberto Saviano come imputato.


L'ingresso in aula: due uomini, due simboli

All’entrata del Tribunale di Roma, Salvini non saluta Saviano. Passa oltre. Saviano rimane spalle al muro, ma solido, e lo osserva, poi a sua volta entra. Il clima è già teso. In aula 27 i due siedono a pochi metri di distanza. Non è solo un processo, è un confronto culturale e politico sulla simbologia del potere, della parola e dell’istituzione.


Post, documenti e Google Translator

La querela, depositata il 18 luglio 2018, include un corposo allegato documentale: una raccolta di post sui social, una trascrizione realizzata con Google Translator da un’intervista rilasciata da Saviano a un quotidiano tedesco, e un comunicato del ministero dell’Interno su mafia e sicurezza.


A completare l’incartamento, anche un lancio Ansa in cui si collegava Salvini al tema mafia. Il consulente del Pm, su incarico della Procura, ha acquisito tutte queste fonti. A guidare la difesa di Salvini è l’avvocato Mattia Celva, mentre per l’imputato Saviano a prendere parola è l’avvocato Antonio Nobile.


«Ministro della mala vita»: tra diritto e letteratura

Al centro del processo, l’espressione «ministro della mala vita», usata da Saviano nel giugno 2018 per criticare l’allora ministro dell’Interno. Un titolo carico di significato, preso da una celebre opera di Gaetano Salvemini del 1910, utilizzata oggi per un attacco politico ma letta in aula come potenziale ingiuria. Salvini risponde: «Sono abituato alla critica politica, ma questa non lo era. È stata un’offesa. Pesante, gratuita, fondata su nulla». Il giudice osserva come sia un’espressione di un certo spessore letterario, certo, ma pur sempre delicata.


Il processo, per certi versi, ha i toni di un derby culturale: Saviano si presenta con stivaletti da combattente, in sfida con il caldo soffocante romano e Salvini che indossa calzini del Milan. Gli avvocati si affrontano alternando accenti lombardi e partenopei. Una sorta di metafora del Paese, in cui anche il linguaggio diventa campo di tensione. Non è solo una sfida politica. È un derby tra potere e parola: c’è un’accidentale allitterazione, Saviano-Salvini, in cui entra in gioco fatalmente un terzo incomodo: Salvemini. Al centro del processo, proprio una sua espressione storica e letteraria - «ministro della Malavita» - riferendosi a quel tempo a Giolitti. Adesso torna dirompente in un fulmine temporale e storico, che tramite i social ritorna da Milano alla Calabria, passando per Roma e Napoli.


La memoria selettiva e la politica delle scorte

Il Pm interroga Salvini sui post pubblicati il 21, 22 giugno 2018 e del 12 giugno, ricorda Salvini, con l'aiuto del pm. In uno di quei post Saviano apostrofava Salvini «ministro della malavita». L’ex ministro era in carica da pochi giorni. «Saviano è una persona nota - dice Salvini - e i suoi post hanno avuto un’enorme risonanza».


«Ho ritenuto i post offensivi da ministro, da cittadino, da segretario di partito - ha chiarito poi Salvini -. Sono abituato alla critica politica ma espressioni come "amico della 'ndrangheta" e "ministro della mala vita' non lo sono: si voleva far riferimento a una contiguità alla 'ndrangheta che a me fa orrore» ha dichiarato durante la testimonianza davanti al giudice. 


La scorta di Saviano e Salvini

Sia Salvini che Saviano sono sotto scorta. E la polemica sulla scorta riemerge nel 2018. Salvini parlava pubblicamente della possibilità di revocarla all'autore di Gomorra. Ma ora in aula precisa: «Una dichiarazione politica. Le scorte si assegnano con criteri tecnici, non politici». Ma tutto nasce perché Salvini diceva che Saviano viveva la scorta come un privilegio. Pensava a questo, davvero? Il Pm così incalza: «Perché allora disse che avere la scorta è un privilegio?». Salvini tentenna. L’aula mormora. Saviano definì ai tempi quell’affermazione «da criminale».


Salvini minacciò addirittura di togliere la scorta qualora venisse eletto, sempre in un post sui social in un post del 2017: «Un'affermazione politica - dice -, poi ho iniziato a fare il ministro...». L’ultimo punto dell’imputazione è il quotidiano tedesco del 2018, dove Saviano dice che c’era un patto di non aggressione tra il ministro degli Interni del tempo, Salvini, e la 'ndrangheta.

Due querele, due piani di offesa

L’avvocato Mattia Celva spiega: «Abbiamo presentato due querele: una come ministro dell’Interno, l’altra come esponente politico. La lesione è doppia: personale e istituzionale». A sostegno, Salvini ricorda alcune iniziative contro la criminalità organizzata: confische per oltre 7,5 miliardi, come la villa dei Casamonica trasformata in centro per l’autismo. E cita l’arresto di 51 mafiosi in pochi mesi.

Il processo tocca anche corde intime: «I miei figli avevano 5 e 15 anni - racconta Salvini -. Essere definiti “figli del ministro della mala vita” ha avuto ripercussioni anche a scuola» conclude.


Più in aula, il clima si fa più teso. L’avvocato di Saviano, Nobile, solleva questioni tecniche sulle date delle scorte. Si parte dall’inizio, quando ha iniziato la carriera la politica e le tappe fino alla prima entrata nel governo nel 2018. Prima del 2018, quando è diventato ministro, Salvini dice di non sapere nulla sull'assegnazione delle scorte, anche se a lui stesso era stata assegnata. La scorta di Salvini, ribatte il legale di Saviano, è però del 2017. Perché minacciare con un post quindi togliere la scorta a Saviano? gli viene domandato. «È una promessa elettorale o no?» domanda ancora l'avvocato dello scrittore, Nobile, chiedendo poi conto al ministro sulla differenza tra politica e propaganda politica.


Il Pm fa una velata opposizione che il giudice rigetta. Salvini nega di conoscere i post con precisione, ma ribadisce: «Non passo le giornate a controllare Saviano sui social, ma il danno è stato reale».


Viene citato anche un video girato a Rosarno nel 2018. L’avvocato di Saviano ricostruisce un passaggio delicato riguardo il referente della Lega in Calabria, Filippo Mancuso, e Domenico Furgiuele, parlamentare leghista, il cui suocero, Salvatore Mazzei, è stato condannato per reati di stampo mafioso. La connessione è lasciata lì, fra insinuazione e analisi.


Saviano parla in aula

Saviano prende la parola per una dichiarazione spontanea. La sua voce è teatrale ma sincera. Le mani tese, quasi a scacciare un fastidio mentre ascoltava i botta e risposta, ora si distendono.

Critica duramente Matteo Salvini. Lo accusa di non essersi assunto responsabilità politiche nonostante i legami del suo entourage con ambienti mafiosi, come nel caso del parlamentare Domenico Furgiuele e dei suoi familiari coinvolti in vicende giudiziarie. Denuncia inoltre l’assenza di decoro istituzionale e il rischio di infiltrazioni mafiose in opere pubbliche come il Ponte sullo Stretto. L’aula, gremita di persone e giornalisti, sembra partecipe. Conclude definendo nuovamente Salvini «ministro della malavita», soprattutto per l’impatto negativo delle sue scelte sul Sud Italia. A fine dichiarazione, dal retro dell'aula, si avverte forte l'eco di un applauso sospeso.


Un’aula surriscaldata, non solo emotivamente

La temperatura è rovente. L’aria condizionata arranca, il giudice si asciuga con un fazzoletto. Il processo, che tocca le corde della democrazia e della libertà di critica, si avvia verso una nuova tappa.

All'uscita dall'aula poi Saviano difenderà la frase: «Riutilizzerei l’espressione “ministro della malavita”. È un’analisi politica. Salvini oggi ha testimoniato, ma ha balbettato, ha omesso. È emersa l’immagine di un politico che dice e fa cose senza pensarci».


Fuori dall'aula in supporto allo scrittore e giornalista, Kasia Smutniak, Chiara Valerio, Sandro Veronesi e la parlamentare Ilaria Cucchi: «Oggi, come sempre, tutta la mia vigilanza, solidarietà e devo dire anche ringraziamento a Roberto Saviano per avere il coraggio di esprimere la propria opinione anche quando dà fastidio, per avere la forza di non fermarsi mai e sicuramente oggi eravamo in tanti in questa aula ad essere al suo fianco».


Il prossimo appuntamento è fissato per il 17 novembre, alle ore 13.30, in aula 14. Chissà dove saranno nel frattempo Milan e Napoli in classifica, e se l’Italia avrà capito dove finisce la critica e dove inizia l’offesa.



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