Ladispoli, all'asta la villa dell'omicidio Vannini: il ricavato alla famiglia
Aggiornamento: 19 ott
La villa della famiglia Ciontoli dove la notte tra 17 e 18 maggio muore Marco Vannini verrà venduta ad un asta giudiziaria. L'annuncio è comparso su un celebre sito immobiliare
A Ladispoli, davanti alla villa c'è una targa: «Chi diceva di amarti ti ha lasciato morire, ma nessuno farà mai morire il nostro amore per te, mamma e papà». Adesso quella villa, di proprietà della famiglia Ciontoli, teatro nel maggio del 2015 dell’omicidio Vannini, andrà veduta tramite un'asta giudiziaria.
Antonio Ciontoli per quegli eventi è stato condannato a 14 anni di carcere per omicidio volontario del fidanzato di sua figlia, Marco Vannini, insieme alla moglie e i figli per concorso anomalo in omicidio volontario.
«Villino su tre piani collegati da scala, composto da centrale termica e giardino di pertinenza al piano terra; salone, bagno, disimpegno e ampia terrazza al piano primo; tre camere di cui una con balcone e bagno al piano secondo». L’annuncio è apparso su immobiliare.it, con una base d’asta a 157.500 euro. La villa era disabitata da tempo, ancora prima della sentenza della Cassazione. A quanto appreso da LaPresse il ricavato andrà alla famiglia Vannini per il risarcimento.
Omicidio Vannini, il processo e la sentenza della Cassazione
Marco Vannini viene ucciso nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 con un colpo di pistola, detenuta dal sottufficiale della Marina militare, Antonio Ciontoli, padre della sua fidanzata Martina. Marco Vanni era in bagno in quel momento e poteva essere salvato. Ma nessuno fa nulla per chiamare i soccorsi.
«Fu non solo assolutamente anti doverosa ma caratterizzata da pervicacia e spietatezza» la condotta di Antonio Ciontoli, secondo la Cassazione «anche nel nascondere quanto realmente accaduto, sicché appare del tutto irragionevole prospettare, come fa la difesa, che egli avesse in cuor suo sperato che Marco Vannini non sarebbe morto». Questo è quanto emerge dalle motivazioni della suprema Corte.
«Ciontoli - spiegano gli ermellini- era ben consapevole di aver colpito Vannini con un'arma da fuoco e della distanza minima dalla quale il colpo era stato esploso; era inoltre consapevole che il proiettile era rimasto all'interno del corpo di Vannini, come gli aveva fatto notare anche il figlio Federico dopo il ritrovamento del bossolo, e, sebbene la ferita avesse smesso di sanguinare dopo essere stata tamponata, egli ha necessariamente immaginato, rappresentandosi e, nonostante ciò accettando il verificarsi dell'evento che quel proiettile potesse essere causa di una emorragia interna».
La Cassazione: «Nessuno si attivò tempestivamente»
Dalle carte si apprende che tutti si preoccuparono subito della presenza del proiettile ancora nel corpo di Vannini, ma nessuno si attivò per allertare in tempo i soccorsi, «fornendo le informazioni necessarie a garantire cure adeguate al ragazzo ospitato nella loro abitazione e che, sino a quella sera, avevano trattato come uno di famiglia».
Eppure Vannini si era lamentato per il dolore: «Aveva invocato aiuto - spiegano i giudici cassazionisti -, e lo aveva fatto in modo talmente forte che le sue urla erano state distintamente avvertite dai vicini di casa e registrate nelle conversazioni telefoniche con gli operatori del 118».
«Antonio Ciontoli «militare appartenente alla Marina militare e successivamente distaccato ai Servizi segreti, detentore di armi da fuoco e autore dello sparo, ha gestito in maniera autoritaria l'incidente e ha da subito minimizzato l'accaduto, tentando di rassicurare i familiari con spiegazioni poco credibili», una condotta che condiziona in modo serio il comportamento dei figli e della moglie.
L'uomo infatti «ha interrotto bruscamente la prima telefonata al 118 effettuata dal figlio Federico e dalla moglie affermando: "non serve niente"». Giunto al poliaumbulatorio di Ladispoli «ha poi preteso di conferire con il medico di turno, spiegando che l'incidente doveva essere mantenuto il più possibile riservato, in ragione del suo impiego alla presidenza del Consiglio», scrivono i giudici della Corte di Cassazione: «Lo stato di soggezione nel quale versavano i familiari - puntualizzano -, si desume da molteplici circostanze: tutti gli imputati, dopo aver compreso l'accaduto, omisero di attivarsi per aiutare effettivamente Marco (Vannini, ndr)»
Le condanne
A maggio 2021, quindi, la Cassazione conferma la condanna a 14 anni di carcere per Antonio Ciontoli, condannato per omicidio, con dolo eventuale. Conferma anche le condanne a 9 anni e 4 mesi per la moglie di Ciontoli, Maria Pizzillo e ai due figli Federico e Martina Ciontoli, condannati per concorso anomalo.
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