Roma, 4 dicembre 2025
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A "Più libri più liberi" la cultura insorge, 80 firme contro la presenza di una casa editrice neofascista: «Non è ricerca, è apologia»

La bufera è scoppiata dopo la scoperta dello stand di un editore che celebra il nazifascismo

di Anita ArmeniseULTIMO AGGIORNAMENTO 1 giorni fa - TEMPO DI LETTURA 2'

C’è un limite oltre il quale non si può più parlare di «svista», né di «pluralismo». Oltre il quale si parla di responsabilità. E a Più Libri Più Liberi, la fiera romana della piccola e media editoria che ogni anno rivendica l’impegno per la cultura democratica, secondo qualcuno quel limite sembra essere stato superato. Senza che nessuno se ne accorgesse.

O voglia far finta di non vedere dopo che quasi ottanta tra autrici, autori, editori e intellettuali, da Zerocalcare ad Alessandro Barbero, da Valerio Mastandrea ad Anna Foa, da Antonio Scurati a Christian Raimo fino a Caparezza, hanno firmato un appello netto.

La loro richiesta è di escludere la casa editrice «Passaggio al Bosco», realtà apertamente neofascista che espone titoli apologetici del fascismo, del nazismo e dei loro simboli più violenti.

L'appello: «Non è ricerca storica. È un progetto apologetico»

Nell’appello si legge: «Da autrici, autori, case editrici, e naturalmente persone che frequentano le manifestazioni culturali di questo Paese, siamo rimasti sorpresi nello scoprire che, tra gli stand della fiera Più Libri Più Liberi, quest’anno abbia trovato spazio Passaggio al Bosco, casa editrice il cui catalogo si basa in larga parte sull'esaltazione di esperienze e figure fondanti del pantheon nazifascista e antisemita».

È scritto nero su bianco, senza spazio per interpretazioni. Gli stessi firmatari lo chiariscono: «Non è ricerca storica. È un progetto apologetico», un racconto che presenta i fascismi europei – anche nei loro aspetti più criminali – come modello, come «esperienza eroica da cui trarre esempio».

E basta scorrere le schede dei libri per capirlo. Un pamphlet di Leon Degrelle, fondatore della divisione vallona delle Waffen SS, definito «contributo alla formazione dell’élite militante». Oppure l’agiografia di Corneliu Zelea Codreanu, capo della Guardia di Ferro romena, celebrato per «virtù» quali disciplina e senso del dovere. Sono questi, dicono i firmatari, solo alcuni dei pilastri di quel cosiddetto «pensiero identitario».

Ora, quello che ci si è chiesto è come sia possibile che Aie, l’Associazione Italiana Editori, abbia ritenuto compatibile tutto ciò con il proprio regolamento. C’è un articolo, il 24 per la precisione, che obbliga gli espositori a rispettare i principi della Costituzione, della Dichiarazione dei Diritti Umani, della Carta dei Diritti dell’Unione Europea. Tutti documenti che nascono dalle macerie del nazifascismo.

E ne deriva un altro quesito. Come sia pensabile che un catalogo fondato sulla sua glorificazione possa trovare spazio nella stessa fiera che dovrebbe promuovere cultura, libertà, pluralismo e democrazia.

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