
Una città che «ricostruisce relazioni spezzate» e che, più di altre, obbliga a interrogarsi sul rapporto tra storia, potere e identità. Roma è una città che divide e unisce, che affascina e irrita, che obbliga a schierarsi. Non solo un luogo, ma un orizzonte culturale e geopolitico. È nell’editoriale «Roma si discute e si ama» che il direttore di Limes Lucio Caracciolo analizza il ruolo dell’Urbe con un approccio critico e consapevole che «la capitale del mondo non si spiega, si attraversa».
La sua riflessione parte da un presupposto netto. Roma resta un riferimento globale, anche quando l’Italia fatica a riconoscerlo. Caracciolo insiste su un concetto chiave dell’intero del testo, quello dell’auctoritas, un’autorità che non nasce dalla forza, ma dal riconoscimento degli altri. «L’autorevolezza non si autodetermina», scrive, ricordando come il fascino di Roma continui a essere «illimitato e ineguagliato», anche se spesso invisibile agli occhi degli stessi italiani, soprattutto a quelli che vedono nell’Urbe un contrappeso ai municipalismi su cui fondano la propria identità.
La domanda centrale dell’editoriale è antica e attuale. Ed è: «Italia e Roma possono vivere una senza l’altra?». Caracciolo non offre risposte quanto più innesca un ragionamento. Roma ha sempre fatto sembrare l’Italia più grande, pur rischiando di schiacciarla sotto il suo mito. Lo conferma citando Gustav Seibt ma anche osservando che molti italiani non romani immaginano un’Italia senza Roma, mentre i romani eluderebbero persino l’idea di una separazione.
Gli stranieri, invece, percepiscono Roma come realtà autonoma. Una città-mondo che da sola basta a definire un destino, una memoria e un immaginario collettivo.
Caracciolo amplia poi lo sguardo oltre i confini nazionali. Roma è il luogo dove convergono due poteri sovrapposti, lo Stato italiano e la Santa Sede. Un’unione non sempre semplice, ma strategica. Qui si incrociano le grandi questioni globali, i rapporti tra le religioni monoteiste, le tensioni tra Turchia e Israele, l’instabilità del Mediterraneo, quel Medioceano che l’autore descrive come uno spazio geopolitico in cui si misurano rivalità e alleanze che coinvolgono Europa, Nord Africa e Medio Oriente.
Per spiegare la funzione di Roma oggi, Caracciolo torna all’antico. Non per nostalgia, ma per metodo. L’Impero romano non prosperò grazie alla forza bruta, ma grazie alla capacità di integrare i popoli conquistati. Centrale era la fides, la fiducia reciproca che trasformava la sottomissione in un patto. «L’importante era vincere la pace, non la guerra», ricorda l’editoriale, citando una delle massime più forti del testo. Un insegnamento che parla direttamente al presente: «La guerra spezza, la pace riumanizza».
Secondo Caracciolo, questo approccio dovrebbe ispirare anche la politica internazionale contemporanea, segnata da conflitti simultanei, potenze in declino e leadership incerte. Roma, con la sua storia di mescolanza e accoglienza, potrebbe tornare a essere laboratorio di convivenza. Non a caso l’autore evoca il tempio di asylum, che secondo le fonti accoglieva forestieri, esuli e schiavi per trasformarli in cittadini romani. Un luogo simbolico che potrebbe oggi diventare uno spazio internazionale dedicato al dialogo, alla negoziazione e alla pratica della pace.
La conclusione di Caracciolo è realista. Roma non deve vivere della propria gloria passata, né rassegnarsi e appiattirsi sul ruolo di capitale amministrativa in declino. Deve accettare la propria natura di città complessa, amata e criticata, ma capace di vedere il mondo da un punto di vista unico. «Di qui osserviamo il mondo», scrive il direttore. E il mondo, a sua volta, continua a osservare Roma. Nonostante tutto, ancora eterna.
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