Bambina di Monteverde, il caso accende i riflettori sul tema dell'allontanamento dei minori dai genitori
- Titty Santoriello Indiano
- 12 ore fa
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Per disposizione del tribunale di Roma, la bambina dovrà essere collocata in una casa famiglia. Ma alla sua ribellione si è unita la mobilitazione dei condomini

Ha urlato e si è legata con lo scotch ai piedi del tavolo per evitare di essere portata via. La protagonista di questa storia è una bambina che, per disposizione del tribunale di Roma, dovrà essere collocata in una casa famiglia. Alla ribellione della minore si è aggiunta a marzo scorso la mobilitazione dei suoi condomini in un palazzo a Monteverde che, con un cordone umano, hanno impedito l'esecuzione del provvedimento. Quest'ultimo è stato, poi, sospeso. Una protesta - ancora in corso con lettere, appelli e denunce pubbliche - che dal XII municipio ha acceso i riflettori nella Capitale sul tema degli allontanamenti dei minori dalla propria famiglia.
«L'allontanamento non è la soluzione»
La vicenda della bambina di Monteverde è complicata da una storia di violenza. La minore vive con la madre e i nonni. Come riporta l'agenzia Dire, i giudici considerano quello dell'allontanamento il percorso migliore per la bambina, al fine di riavvicinarla al padre, rinviato a giudizio per aggressione nei confronti della madre. La donna, infatti, è seguita dai servizi sociali proprio per aver subito violenza domestica.
«In base alla mia esperienza nel lavoro con i genitori e le famiglie, tutte le volte che un bambino è stato strappato con violenza e con forza perché si attivasse un progetto di riavvicinamento ad un genitore, non è mai successo che questa soluzione sia poi diventata quella giusta per restituire al bambino entrambi i genitori», ha commentato la fondatrice della Pedagogia Familiare e presidente dell'Inpef Vincenza Palmieri.
«Sembra che la regola della bigenitorialità - prosegue la professoressa- valga soltanto in una prima fase: dai dati a mia disposizione, quando il bambino viene portato in una casa famiglia, il genitore da cui viene staccato in genere non lo vede più ed è molto difficile ricucire». «Il punto, anche in questa storia, non è fare un’azione di giustizia ma fornire altri casi di carne viva alla filiera psichiatrica per farne un business», conclude Palmieri.
«Vicenda complessa»
Il caso, da alcune settimane, è seguito dal Campidoglio. «C'è assolutamente attenzione su questa vicenda», ha dichiarato l'assessora capitolina al Sociale Barbara Funari: «Noi, con l'assessora alle Pari opportunità, Monica Lucarelli, abbiamo espresso chiaramente il nostro appello a far sì che il più possibile venisse tutelato l'interesse della bambina e anche della mamma - ha detto Funari - sarà poi il Tribunale, spero, a raccogliere questo approfondimento da fare per essere vicini ed equi in ogni intervento». L'assessora ha anche fatto sapere che «il nostro servizio sociale è già intervenuto con i servizi di assistenza domiciliare per i minori per sostenere comunque la mamma e la bambina in questo periodo, anche se si tratta di una vicenda complessa».
«L'allontanamento sia l'estrema ratio»
Per le assessore «l'allontanamento deve restare l’estrema ratio». «Sempre e soprattutto nei contesti segnati dalla violenza familiare - ha sottolineato Lucarelli - ogni misura che comporti la separazione forzata tra madre e figlia deve essere assunta solo in casi estremi, con tutte le garanzie di tutela. Se una donna, dopo aver subito violenza, teme che denunciare significhi perdere il proprio figlio, si trasforma in vittima due volte. È questa la forma più subdola di violenza istituzionale, ed è un rischio che dobbiamo evitare ad ogni costo».
«Le istituzioni non devono generare ulteriore sofferenza»
La questione è finita, poi, sul tavolo del progetto M.a.r.a., una cabina di regia dove, oltre alle esponenti del Campidoglio, ci sono anche rappresentanti della prefettura, delle forze dell'ordine, della Asl e delle associazioni. In questa sede Lucarelli ha ribadito che è essenziale un approccio che metta al centro la protezione reale delle donne e dei bambini: le istituzioni devono essere un presidio di giustizia, non un meccanismo che genera ulteriore sofferenza». Il campidoglio, assicurano Funari e Lucarelli, «continuerà a seguire l’evolversi della vicenda (della bambina di Monteverde, ndr) con la massima attenzione, nel rispetto delle competenze dell’autorità giudiziaria, ma con la convinzione che ogni scelta debba essere fondata su un approccio multidisciplinare, rispettoso dei diritti dei bambini e delle donne e coerente con i principi della Convenzione di Istanbul: ogni decisione - concludono - deve garantire sicurezza, non produrre nuove ferite».

«Ci opporremo sempre ad ogni intervento autoritativo»
Della necessità di sostenere le famiglie - soprattutto nei momenti di maggiore fragilità evitando gli allontanamenti forzosi dei bambini dai loro genitori - si è parlato, tra l'atro, lunedì scorso alla convention dell'Anpef che ha riunito a Roma centinaia di pedagogisti familiari. L'evento è stato un'occasione per ripercorrere la storia di questa disciplina dalle origini al passaggio con cui, nel maggio 2019, il ministero dello Sviluppo economico ha riconosciuto quella del pedagogista familiare come professione autonoma e distinta, fondata sui diritti umani. «Abbiamo scritto nel nostro statuto, nel nostro regolamento, e nel nostro codice deontologico che noi ci opporremo sempre ad ogni intervento autoritativo», ha ribadito Vincenza Palmieri nel corso del suo intervento.