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I cittadini chiedono di essere ascoltati nel progetto di rigenerazione urbana: «Bastogi siamo noi»

  • Immagine del redattore: Anita Armenise
    Anita Armenise
  • 6 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Nel quartiere l’emergenza abitativa si è cronicizzata eppure la situazione potrebbe cambiare grazie ai 9 milioni di euro stanziati dal Comune. Ma i residenti chiedono di essere ascoltati nella programmazione degli interventi

«Siamo abbandonati a noi stessi, tutto quello che abbiamo ce lo facciamo da soli. Bastogi siamo noi». Con queste parole i residenti di Bastogi raccontano la quotidianità del quartiere della periferia ovest di Roma. Qui entro la fine del 2025 e l'inizio del 2026 partirà la ristrutturazione delle palazzine dell'ex residence per l'emergenza abitativa tra Torrevecchia e Primavalle, per due volte set dei film «Come un gatto in tangenziale», che negli anni si è trasformato in complesso di case popolari e strutture di proprietà dei Centri di assistenza alloggiativa temporanea (Caat).


«Le lampadine dell'illuminazione pubblica le compriamo noi, così come la pulizia delle strade e gli interventi di giardinaggio. Quando siamo arrivati qua non c'era manco l'asfalto. Oggi c'è solo quello», raccontano le residenti con un sorriso amaro. Bastogi è un luogo in cui la provvisorietà dura da decenni e dove l’emergenza abitativa si è sedimentata fino a diventare quotidianità, e la temporaneità, permanenza.


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La cantina della palazzina G del residence Bastogi

Qui da anni l'impianto fognario si rompe ciclicamente allagando di liquami i sotterranei dei palazzi. L'illuminazione è manutenuta dai cittadini e gli impianti elettrici usurati e fanno scaturire spesso incendi negli appartamenti, come quello del marzo 2024. In tutte le abitazioni ci sono bombole gpl per cucinare e riscaldare gli ambienti, gli intonaci sono cadenti e gli androni dei palazzi adoperati come logorati passaggi.


Ora il comune ha stanziato 9 milioni e mezzo nel bilancio approvato a dicembre 2024, che ha previsto questi soldi per interventi di manutenzione straordinaria. Le associazioni presenti e attive sul territorio tra cui Aurelio in comune, Fillea Cgil Roma e Lazio, Nuove Rigenerazioni e Nonna Roma chiedono l'istituzione di tavolo permanente che coinvolga gli abitanti di Bastogi per un corretto, oculato e condiviso programma di pianificazione degli interventi resi possibili dallo stanziamento.


«È fondamentale fare un passo in più e quello che abbiamo chiesto, oltre al confronto, è la trasformazione del residence da Caat (che ha accezione temporanea, ndr) a Erp, (ovvero gli alloggi di proprietà del comune ma per l'edilizia residenziale pubblica, ovvero le case popolari, ndr), per assegnare una volta per tutte queste case alle persone che da 30 anni stanno qui», spiega Maristella Urru, consigliera di Aurelio in Comune nel XIII municipio.


La crisi crisi strutturale mai affrontata di Bastogi

Costruito negli anni ’80, come residence di Alitalia, comprato poi dal Comune per le famiglie in attesa di case popolari, quindi impiegato per arginare l’emergenza alloggiativa che dura da circa trent’anni.


Sono palazzine, circa duemila appartamenti, costruiti da società private in convenzione con il Comune, da assegnare a famiglie bisognose.


La storia inizia tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, quando la Bastogi Spa scommette su un’area di passaggio verso l’aeroporto e il litorale, ancora immersa nel paesaggio rurale. L’investimento punta su un progetto ambizioso: quello di creare un complesso residenziale a misura di viaggiatori e pendolari, dai lavoratori aeroportuali a docenti e studenti in cerca di un punto d’appoggio.


A sostegno dell’iniziativa arrivano anche fondi pubblici attratti dalla possibilità, ancora in fase embrionale, che il complesso di Santa Maria della Pietà - storico manicomio romano in via di riconversione dopo la legge Basaglia del 1978 - possa ospitare una nuova sede universitaria. La zona però è isolata, priva di servizi e attività commerciali.


A distanza di qualche anno dall’apertura del cantiere, le sei palazzine sono pronte ma il progetto resta incompiuto. L’ateneo non viene mai realizzato e la viabilità, penalizzata dal traffico lungo la direttrice verso l’aeroporto, scoraggia i flussi di viaggiatori.


L’investimento, ormai, si rivela fallimentare. La società costruttrice cerca di contenere le perdite. L’anno successivo, il comune acquista l’intero complesso, con lo scopo di destinarlo a chi è in attesa di un alloggio popolare. Ma dal 1989 in poi, complice un cambio profondo nelle politiche abitative, iniziano a emergere trasformazioni di ordine strutturale, sociale, economico e ideologico che segneranno il destino di quegli edifici e dei loro nuovi abitanti.


Oggi la situazione è come allora.

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