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Scritte antisemite al tempio Beth Shmuel, parla il rabbino di piazza Bologna: «È soltanto la punta dell’iceberg»

  • Giacomo Zito
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Svastica e slogan nazisti sul portone della sinagoga di via Garfagnana. Menachem Lazar: «Non vogliamo pietà, ma equilibrio. Nessuno ha fatto nulla, eppure ci dicono di andare via».

rabbino piazza bologna facebook
(Menachem Lazar, Facebook)

Non ha fatto alcun rumore il silenzio istituzionale a seguito dell'apparizione delle scritte antisemite in una sinagoga vicino a piazza Bologna.


Compiute nella notte tra sabato 7 e domenica 8 giugno, scritte come «Sieg Heil» e «Juden Raus», tracciate con un pennarello nero, hanno deturpato la targa d’ingresso del tempio ebraico Beth Shmuel, in via Garfagnana, quartiere piazza Bologna, Roma.


Un gesto passato in un particolare silenzio nella rassegna cittadina, che all'evento in sé non ha dedicato una grande attenzione. Quando Menachem Lazar, direttore del centro Chabad di piazza Bologna, ne ha condannato il gesto sui social, ha raccolto poca sensibilità da chi non fa parte della comunità colpita: «Ho avuto tante reazioni - racconta il rabbino a La Capitale - ma da parte di persone non di religione ebraica posso contarle sulle dita».


La relazione che ne cresce inevitabilmente è di natura politica e si collega a quanto sta avvenendo in Medioriente, anche se Lazar sull'argomento preferisce non soffermarsi. Il ragionamento guarda piuttosto agli effetti che si provocano nel modo di fare comunicazione e degli effetti, probabilmente anche inaspettati, che si vengono a creare nella comunità cittadina particolarmente vissuta da Lazar.


La testimonianza e il commento di Lazar

Accanto alle scritte apparse sulla targa del tempio c'erano anche una svastica e un fascio stilizzato, realizzate poco prima della mezzanotte di sabato da una persona a volto coperto.


Lazar lo racconta nel dettaglio, avendo potuto vedere le immagini delle telecamere di sicurezza, ora al vaglio della Questura: «Erano due ragazzi, venuti poco prima di mezzanotte, però solo uno ha fatto le scritte sulla targa della sinagoga».


Dalla notte si arriva quindi al giorno dopo quando, sui social, il rabbino denuncia il gesto. Appare su alcuni giornali di cronaca per poi scomparire di nuovo. Poche reazioni al di là di quelle dei membri della comunità colpita e un particolare silenzio istituzionale.


Rimane poco chiaro se si tratti di un silenzio voluto per non dare troppo peso a una bravata, o se c'è qualcosa di più. Un dubbio su cui invece il rabbino è invece più convinto: «Non stiamo chiedendo a nessuno di venire e avere la pietà di noi, però si sta creando un clima, a livello di comunicazione, in cui il fatto che una persona adesso può andare e scrivere questa cosa vuol dire che c’è un sentimento che ovviamente è nascosto».


Nel commentare il gesto, Lazar si pone quindi in un'ottica che supera l'atto vandalico in sé: «Anche se quel ragazzo capisse quello che ha scritto, questo è soltanto la punta dell’iceberg, il problema è molto più profondo». Un modo per il rabbino di non creare allarmismi, ma invitando piuttosto a guardare sotto la superficie.


Il silenzio istituzionale e l'invito del rabbino

Non è infatti il gesto in sé a preoccupare Lazar, che ribadisce come il clima a Roma sotto questo punto di vista non sia ostile: «Io personalmente, che vado in giro identificato come una persona di religione ebraica, non ho ricevuto alcun tipo di commento». E aggiunge: «Non ha portato a me personalmente una preoccupazione maggiore adesso che un ragazzo a mezzanotte col volto coperto è andato a esprimere il suo pensiero, che non so neanche se è il suo pensiero, se neanche capisce quello che ha scritto».


Tuttavia, a colpire il rabbino è piuttosto la mancanza di reazioni: «Le istituzioni normalmente sono sempre state collaborative con noi, ma dopo quello che è successo nessuno ha detto una parola su questo, oltre ai media che l’hanno riportato». E ancora: «Non è che debba esser fatto su ogni cosa che accade, però è strano che quando c’è tanta attenzione su un’altra cosa ci sia poi il silenzio totale su una cosa del genere».


La questione sollevata da Lazar è infatti più ampia, arrivando ad abbracciare il ruolo della comunicazione e delle istituzioni in questo momento: «Non è chiaro se il punto è cercare di aiutare a risolvere la situazione o se si sta soltanto cercando di trovare un argomento per cercare di girare l’attenzione dalle cose più importanti».


Una tensione mediatica - spiega quindi Lazar - che chi la sta portando avanti, chi la sta ampliando, dovrebbe seguire con attenzione perché potrebbero provocare delle reazioni non volute. L’appello è invece alla responsabilità collettiva, senza semplificazioni o strumentalizzazioni: «Il mio messaggio è di cercare di essere un po’ più equi, di non concentrarsi solo su una cosa che poi va a discapito di altri».


L'ultimo messaggio di Lazar è quindi dedicato alle forze dell'ordine, che ha voluto ringraziare per essere prontamente intervenute e per l’attenzione che stanno dedicando all’indagine.

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