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«Quanto sei brutta» o «Tu non esisti», quali sono i segnali della violenza invisibile

Titty Santoriello Indiano

Aggiornamento: 9 mar

 La psicoterapeutica Maddalena Cialdella racconta il caso di una donna che è riuscita a scappare dall'ex violento: «Quella psicologica è una violenza che non mostra lividi ma che procura ferite interiori, proprio come quella fisica»

quali sono i segnali della violenza invisibile , violenza psicologica , 8 marzo
Maddalena Cialdella, psicoterapeuta

Ferite, contusioni, costole rotte. Se si pensa alla violenza di genere sono questi alcuni dei segni che siamo abituati a vedere sui corpi delle donne. Ma ci sono altri tipi di abusi, silenziosi e difficili da riconoscere, che fanno altrettanto male. «Quando parlo di violenza psicologica parlo di una violenza che non mostra lividi ma che procura ferite interiori, proprio come quella fisica», dice la psicoterapeuta Maddalena Cialdella esperta del tema che ha, tra l'altro, affrontato anche nel libro «C’eravamo tanto armati. Storie di ordinarie violenze e di diritti negati», di Gian Ettore Gassani.


Dottoressa Cialdella, se è più difficile riconoscere la violenza psicologica, quali sono i segnali a cui fare attenzione?

«Pensiamo alla violenza economica, oppure al fatto che queste donne vengono isolate dai loro affetti. Magari spesso si chiede loro di non andare più a lavorare, di non avere più una vita sociale. Sono donne che, non solo possono essere aggredite verbalmente, ma c'è qualcosa di più sottile. Per esempio la squalifica continua nei loro confronti. "Quanto sei brutta, ma ti sei vista, ma che madre sei, ma che donna sei, ma non sei capace a fare nulla" dicono loro gli uomini violenti. C'è poi un'altra dinamica ancora più pesante».


Più pesante della squalifica?

«Sì. L'uomo convince la donna ad avere dubbi sulle sue stesse percezioni, sulle sue stesse idee e sui suoi stessi sentimenti. E qua siamo nell'ambito della disconferma. Il messaggio che si veicola è "tu non esisti, io proprio non ti considero, non ci sei. Non esisti nemmeno nelle tue idee e nelle tue opinioni". E tanto più questo viene fatto, tanto più la donna se ne convince e inizia a pensare: "Forse ha ragione lui, forse lui più di me sa come sto io, come la penso io". Oppure "forse lui ha maggiori capacità di me di capirmi". E a quel punto la donna è assolutamente nelle mani di questa persona, è ingabbiata all'interno di una relazione che la tiene assolutamente prigioniera»


Da psicoterapeuta le è capitato di occuparsi di donne con questo tipo di problemi?

«Sì, una donna che ha subito esattamente tutto quello che ho detto poco fa. Mi raccontava come veniva trattata da questo marito. Era assolutamente inerme, una donna che non viveva più, di fatto, come succede nelle situazioni di violenza E poi è successo qualcosa».


Cosa?

«Oltre alla violenza psicologica questa donna subiva anche quella fisica. Un giorno aveva un occhio nero e indossava gli occhiali per non farsi scoprire dai figli. Però i figli non sono stupidi e colgono tutte le tensioni e il clima che c'è dentro casa. La figlia le chiede: "Perché hai gli occhiali?". Lei risponde: "credo di avere una congiuntivite" ma la bambina le lancia uno sguardo perché aveva capito tutto. In quel momento, mi racconta la signora, di aver sentito un pugno nello stomaco e ha capito quanto stessero soffrendo i suoi figli. "Quello sguardo di mia figlia mi ha ferito più di ogni altra cosa. Ho capito che nemmeno loro stavo tutelando e lì mi è venuto il coraggio di andarmene di casa", mi dice».


Quando la signora è scappata dall'uomo violento dove è andata?

«Con i figli va in una casa rifugio, poi ha denunciato ed è iniziato il percorso di uscita dalla violenza e ha fatto una lunga psicoterapia con me. E' complicato per queste donne riprendersi quello che hanno perso: la dignità, la loro identità che hanno lasciato in quella casa e a quell'uomo. È un percorso molto difficile e molto lungo»


E' molto più difficile dimostrare di aver subito violenza psicologica. Quale è il percorso da seguire per essere credute?

«È chiaro che se vediamo sangue, se vediamo lividi, se vediamo costole rotte è più semplice e immediato capire che si tratta di violenza. Nei casi di violenza psicologica ci si augura che si arrivi ad una separazione in tribunale, oltre ovviamente a mettere in moto tutti i procedimenti nei tribunali penali. Molto spesso i giudici chiamano i consulenti tecnici per fare una valutazione globale della situazione. E quindi fornendo delle risposte adeguate rispetto a quello che viene raccontato ma c'è un problema che riguarda la formazione»


La formazione di chi si occupa di accogliere le donne dopo le violenze?

«Sì. Tutti coloro che intervengono dovrebbero avere una formazione specifica sulla violenza psicologica perché si trovano davanti a donne pluritraumatizzate.  Parlo, ad esempio delle forze dell'ordine perché quello è il primo contesto in cui le donne arrivano. Ci troviamo nella situazione in cui i carabinieri o i poliziotti ti dicono che "forse è stata una solo litigata" o "forse non hai capito bene" oppure "ma in fondo è tuo marito". E così le donne se ne tornano a casa. E questo non deve succedere più»



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