Processo Elena Aubry, la madre: "La prima udienza dopo sei anni"
- Camilla Palladino
- 9 lug 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Graziella Viviano è la madre di Elena Aubry, la 26enne morta in via Ostiense nel 2018 per aver perso il controllo della sua moto a causa dell’asfalto dissestato

«Per i nostri giovani gli incidenti sono la prima causa di morte». Parla Graziella Viviano, madre di Elena Aubry, la 26enne morta in via Ostiense nel 2018 per aver perso il controllo della sua moto a causa dell’asfalto dissestato. Viviano fa riferimento agli ultimi dati Istat disponibili (relativi al 2021), secondo cui i sinistri sono la prima causa di morte nella fascia d’età che va dai 15 ai 29 anni.
Oggi alle 9 la prima udienza del processo per la morte di sua figlia, a sei anni dall'incidente. Cosa è stato fatto finora?
«Ci sono otto imputati, due delle imprese appaltatrici che dovevano gestire le manutenzioni stradali in quel tratto e sei funzionari del Comune di Roma. Uno delle imprese appaltatrici (Alessandro Di Carlo, condannato a un anno e sei mesi di detenzione dai giudici della corte di Appello di Roma, ndr) ha chiesto il rito abbreviato, per cui il suo processo è andato avanti prima di quello degli altri. Quest'uomo ha preso due anni in primo grado, un anno e mezzo in secondo grado, ora ha fatto ricorso in Cassazione. La considero un'offesa, perché la pena che ha preso questa persona, e per cui non farà un giorno di carcere, è minore di quella che avrebbe preso se avesse ammazzato un cane. Se fossimo in sede civile ci sarebbe una cosa che si chiama lite temeraria (il comportamento processuale di una parte connotato da mala fede o colpa grave, ndr). Purtroppo nel penale non esiste».
Secondo lei le pene previste per l'omicidio stradale sono adeguate?
«Assolutamente no, infatti sto lavorando a una proposta per cambiare la legge sull'omicidio stradale con pene che abbiano un senso. Ma io credo che più che la galera serva un istituto in cui i responsabili vengano rieducati, una comunità che permetta loro di capire l'importanza del senso della vita. Se non cambi dentro, che senso ha? Fai ricorso in Cassazione, come il signore. Bisogna ritornare su un concetto di dignità. E chi uccide qualcuno deve avere la dignità di capire che cosa ha fatto. La dignità di chiedere scusa. La dignità, come dire, di cambiare».
Da quando sua figlia ha perso la vita a causa del manto stradale dissestato, lei si impegna per migliorare la sicurezza stradale in questa città, ma anche nel resto del Paese. Su cosa si sta concentrando ultimamente?
«Stanno morendo tantissimi ragazzi, motociclisti, giovani. Se da una parte io mi sono sempre occupata delle strade, credo che a questo punto sia importante dare la giusta attenzione alle famiglie delle vittime della strada. Me ne sto occupando dallo scorso 4 aprile. Sono andata alla Camera dei deputati e ho fatto una domanda: ma cosa fa lo Stato italiano per loro? Le persone che subiscono un lutto così pesante convivono con una sorta di invalidità. Ricevere la notizia che tuo figlio è morto è una delle peggiori cose che ti possono capitare nella vita. E nel momento peggiore, ti trovi a dover gestire una marea di questioni a cui non avevi mai pensato. Parliamo di avere i soldi per un avvocato o per uno psicologo. Mi ricordo ancora quel giorno, ero seduta davanti al funzionario di polizia che mi aveva appena detto che mia figlia era morta. Subito dopo mi ha chiesto se avevo un medico legale di fiducia per l'autopsia di Elena. Ovviamente la risposta era no, non ne avevo mai avuto bisogno. Non parliamo poi dei lavoratori dipendenti che dopo tre giorni devono ritornare a lavoro. O peggio ancora i liberi professionisti, che non hanno neanche quelli. Ci sono persone che non hanno neanche i soldi per il funerale. La mia proposta è dunque che il governo istituisca un fondo per aiutare le persone a sostenere questo tipo di spese. Io lo chiamo "prestito d'onore": 10-15mila euro da restituire anche in dieci anni, in modo che gli stessi soldi possano aiutare un'altra famiglia».
Prima ha paragonato certi lutti a una sorta di invalidità. Cosa intendeva?
«Ho un'associazione che si chiama Sotto gli occhi di Elena, sento di continuo situazioni terribili di famiglie in forte difficoltà dopo aver perso un parente sulla strada. Sarebbe utile fare avere a queste persone la 104 (la legge italiana che detta i princìpi dell'ordinamento in materia di diritti, integrazione sociale e assistenza della persona disabile, ndr), e dargli per tre, quattro, cinque anni un giorno a settimana di permesso dal lavoro per superare un lutto tanto violento sotto il profilo psicologico».
A proposito di supporto psicologico, uno sportello di ascolto sarebbe utile ai familiari delle vittime della strada?
«Certo. Come il telefono azzurro per i bambini, o il telefono rosa per le donne, serve un "telefono" che fornisca consigli a queste famiglie. Non è questione di essere più o meno sapienti, quando ci si trova in quella situazione è un percorso che nessuno ha mai fatto. Puoi essere laureato in quello che vuoi, ma ti ritrovi totalmente spezzato. Quindi serve un supporto per scegliere l'avvocato penalista a cui affidarsi, per capire cosa fare nei casi come quello di Elena, in cui l'amministrazione ha una responsabilità. Mi chiamò una giornalista per chiedermi un commento sul fatto che i vigili urbani del Comune sarebbero andati a fare i rilievi in via Ostiense. Il cielo mi ispirò e risposi: è come chiedere all'oste se il vino è buono. Poi mi sono appellata e rifiutata».
La stessa dinamica che si è verificata per l'incidente di Leonardo Lamma, il 19enne morto in moto a corso Francia nel 2022.
«Esatto. In quel caso un vigile urbano ha fatto i rilievi e adesso i genitori si trovano con un pm che vuole archiviare il caso. Il figlio era morto il pomeriggio e la sera stessa avevano appianato la strada, ma per la polizia locale l'asfalto era a posto. Quindi tutte queste cose, ripeto, serve un aiuto. Una persona che sia super partes con la quale consultarsi, che non nessun abbia interesse in un discorso di questo genere».
Torniamo a oggi, all'inizio del processo di Elena. Un processo che farà la storia della giurisprudenza in tema di omicidio stradale. Perché?
«Il processo di Elena è stato il primo processo in Italia nel quale si sono messi sul banco degli imputati i gestori delle strade. Non era mai successo in Italia. Sono state fatte tutta una serie di innovazioni che non si erano mai viste. Sono state realizzate ricostruzioni in 3D dell'incidente, prove, indagini approfondite. Questo processo non è solo il processo di Elena, perché farà scuola agli altri processi. E soprattutto, una cosa fondamentale: questo processo ha innescato un cambiamento di mentalità anche nell'ambito della magistratura. Prima era impensabile mandare sul banco degli imputati i gestori delle strade».
Secondo lei negli ultimi sei anni a Roma è migliorata la sicurezza stradale?
«Sicuramente si è aperto un faro sulla sicurezza stradale. Questo sì. Molte strade sono state rifatte, inclusa quella di Elena (via Ostiense, ndr). Ed è fondamentale perché se una strada è pericolosa, va rifatta. La dignità impone di rifare una strada, non di mettere il limite a 30 chilometri all'ora, così se uno cade a 36 chilometri all'ora è colpa sua. Ci sono studi universitari che dicono chiaramente che il 30 per cento degli incidenti è legato alla situazione delle strade. E se da una parte il Comune crea le corsie preferenziali per le biciclette, dall'altra parte riduce le carreggiate. Quelle stesse carreggiate percorse da motociclisti, camion, autoveicoli. E, tra i tre mezzi, chi può avere la peggio? Ovviamente le due ruote. In una città che la prima capitale europea per numero di moto, non aver pensato a questa cosa lo trovo estremamente grave. In Brasile, per esempio, hanno fatto addirittura delle corsie preferenziali nelle varie tangenziali, le chiamano corsie blu, riservate ai motociclisti. Questa soluzione ha ridotto in maniera drastica il numero dei morti».