Manifestazione pro-Palestina del 5 ottobre, la ricercatrice di Amnesty: «Sono stati violati i diritti umani»
Aggiornamento: 1 dic 2024
La Capitale intervista Debora Del Pistoia, ricercatrice di Amnesty International Italia

«I gruppi palestinesi manifestano in tutta Italia da più di un anno, ogni settimana, in maniera totalmente pacifica e senza aver mai creato alcun problema, se non quando le autorità hanno deciso di farlo». A dirlo a La Capitale è Debora Del Pistoia, ricercatrice di Amnesty International Italia, commentando la ricerca sulla manifestazione pro-Palestina dello scorso 5 ottobre, pubblicata dall'organizzazione a tutela dei diritti umani nel mondo, in cui vengono messe sotto accusa le autorità per aver commesso «gravi violazioni dei diritti umani».
Nella ricerca di Amnesty sulla manifestazione del 5 ottobre si parla di violazione dei diritti umani. Quali?
«Il diritto di assemblea pacifica e il diritto alla libertà di espressione. In particolare relativamente al divieto preventivo che ha colpito la manifestazione del 5 ottobre, inizialmente prevista come una marcia. Per noi, il divieto emesso dalla questura è discriminatorio e non dovrebbe aver avuto luogo. Quest'estate abbiamo pubblicato una sorta di mappatura europea rispetto allo stato di salute del diritto di protesta. In Italia è risultato evidente come ci siano delle leggi che vanno de facto ad impedire l'esercizio effettivo del diritto di protesta pacifica e tra queste c'è proprio la facoltà e la discrezionalità delle autorità locali, sia di vietare le manifestazioni sia di modificare i percorsi, gli orari e i luoghi. Quindi siamo ben consapevoli che la legge è problematica di per sé, cosa che è anche in contraddizione con la nostra Costituzione, che nell'articolo 17 prevedrebbe che le riunioni debbano sempre svolgersi senza interdizioni a patto che siano pacifiche. Invece secondo il testo unico per le leggi di pubblica sicurezza, di epoca fascista, è sufficiente che il questore dica che ci sono ragioni di ordine pubblico, di moralità o di salute pubblica per vietare una manifestazione».
Quali sono state le motivazioni del divieto riportate nel decreto di interdizione della questura? Secondo Amnesty erano valide?
«Assolutamente no. Si tratta di motivazioni totalmente vaghe che fanno riferimento alla vicinanza temporale del 5 ottobre con l'anniversario del 7 ottobre 2023 (il giorno dell'attentato di Hamas in Israele, ndr) e al rischio di celebrazione del massacro. Poi viene fatto un genericissimo riferimento alle leggi razziali, non si capisce bene per quale motivo. La cosa grave è che non è la prima volta che succede, già c'era stato un divieto preventivo in occasione della giornata della memoria di gennaio. Per questo, per noi, è un divieto discriminatorio. Perché è rivolto a un gruppo che, come ha anche segnalato la relatrice speciale delle Nazioni Unite, ha subito delle restrizioni spropositate e sproporzionate nell'ultimo periodo. Un'altra motivazione riportata sul divieto è che, secondo la questura, coloro che volevano organizzare la manifestazione avevano adottato un atteggiamento antigiuridico annunciando di voler scendere in piazza nonostante il divieto. Un'espressione che contravviene il diritto internazionale, perché non erano presenti elementi di rischio per l'ordine pubblico».
In un paragrafo si parla di controlli illegali che la polizia avrebbe fatto sui manifestanti. Cosa è successo?
«La repressione del dissenso in Italia sta andando sempre di più nella direzione di una repressione preventiva. Prima ancora che le persone vadano a manifestare, gli viene fisicamente impedito di raggiungere il luogo della manifestazione. Come è successo in questo caso. Non abbiamo contezza di quante esattamente siano le persone che sono state fermate, perquisite, portate in questura e punite con il foglio di via, ma sappiamo che sono tante. Le perquisizioni e i controlli sono stati assolutamente di profilaggio, nel senso che le persone sono state identificate sulla base della propria apparenza. Nella ricerca abbiamo raccontato la testimonianza di un'attivista il cui bus è stato fermato al casello all'entrata di Roma alle 8.50 di mattina. Lei è stata scelta tra le varie persone presenti insieme a un altro ragazzo, le è stato perquisito lo zaino e poi è stata trasferita in questura con la macchina di servizio della polizia a sirene spiegate. La cosa particolare è che lei ha provato ininterrottamente a chiedere quale fosse il motivo di questo trattenimento, ma non le è mai stato spiegato. Hanno continuato a dirle che si trattava di un controllo e non le è mai stato chiesto se lei fosse effettivamente diretta verso la manifestazione. Dopo circa un'ora in questura, le è stato notificato questo foglio di via per tre mesi. Ma ci sono persone che sono state trattenute anche per dieci ore di fila dalla polizia senza alcun motivo. Nei fogli di via che abbiamo analizzato si parla di pregiudizi di polizia o di condotta di vita che farebbe pensare che quella persona stava andando a commettere degli illeciti. Eppure le persone che abbiamo intervistato erano tutte incensurate, senza misure amministrative e senza processi in corso. C'è stato persino un foglio di via per quattro anni, che è il massimo».
Alla fine della manifestazione del 5 ottobre erano scoppiati gli scontri tra gli agenti e un piccolo gruppo di presenti. Come è stata gestita la situazione dagli agenti?
«Noi questa parte l'abbiamo analizzata con molta attenzione perché erano presenti i nostri osservatori (un gruppo di persone formate proprio per il monitoraggio delle manifestazioni per valutare eventuali abusi da parte delle forze dell'ordine, ndr) che hanno girato anche dei video. Ci sono varie cose preoccupanti che sono avvenute quel giorno. C'è il tema della comunicazione che è completamente mancata. Le forze dell'ordine in nessun momento hanno mandato avvisi preventivi rispetto all'utilizzo di armi come gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e in un secondo momento manganelli. Nel nostro rapporto sull'Europa abbiamo raccontato di 14 casi in cui ci sono stati feriti gravissimi proprio dall'utilizzo improprio di questo tipo di armi. Secondo le norme le autorità dovrebbero intervenire per bloccare individualmente le persone che stanno utilizzando modalità non pacifiche senza dover bloccare il diritto di manifestare pacificamente. Addirittura le persone che stavano cercando di andarsene dalla piazza perché avevano capito che c'era una dispersione violenta in corso non sono riuscite a scappare, si sono ritrovate bloccate e in alcuni casi manganellate mentre stavano indietreggiando. In più è veramente importante ricordare che una manifestazione continua a essere pacifica anche se ci sono delle piccole violenze».
Oggi (sabato 30 novembre) a Roma è prevista la manifestazione nazionale pro-Palestina. C'è il timore che possano esserci nuove violenze?
«Sì, abbiamo ovviamente il timore anche perché la questura sta cercando di soffiare di nuovo sul fuoco della tensione. I gruppi palestinesi è da più di un anno che manifestano in tutta Italia, ogni settimana, in maniera totalmente pacifica e senza aver mai creato alcun problema, se non quando le autorità hanno deciso di farlo. Come nelle manifestazioni di Firenze e di Pisa o davanti alla sede Rai. Però ci sembra che gli organizzatori della manifestazione di oggi insistano sul tenere la manifestazione in maniera unitaria. Siamo confidenti, noi abbiamo cercato di pubblicare questo statement a ridosso di questa manifestazione per allertare le autorità che c'è attenzione. Abbiamo anche provato a sollecitare le autorità per il diritto di replica inviandogli la ricerca in anticipo, ma purtroppo non abbiamo ricevuto alcuna risposta».
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