top of page
  • Titty Santoriello Indiano

Liberazione di Roma, il ricordo della partigiana Luciana Romoli

Il racconto del 4 giugno 1944, la vita dei quartieri in quegli anni, il ripudio della guerra e le riflessioni sul conflitto tra Istraele e Palestina:«Mio marito era ebreo ma noi crediamo in 'due popoli due stati'»


partigiana Luciana Romoli liberazione di Roma
La partigiana Luciana Romoli. Credit: Camera dei deputati

Il 4 giugno 1944 l’ingresso degli Alleati nella Capitale liberò Roma dall’occupazione nazista. «Fu un giorno importantissimo perché erano finiti i bombardamenti e le persecuzioni», ci racconta Luciana Romoli, la coraggiosa partigiana di Casalbertone che già a otto anni si è ribellata al regime fascista. Oggi che di anni ne ha 94 il suo impegno continua parlando di memoria agli studenti «perché non si ripetano gli orrori della tirannia e della guerra».

Quando l’abbiamo raggiunta al telefono ci ha chiesto di darle del «tu» visto che «per tutti sono nonna Luce». Luce è il nome di battaglia. Quello che le avevano dato quando, neanche tredicenne, divenne «staffetta partigiana».

Il ricordo della Liberazione di Roma di ottanta anni fa. Lo scenario nei quartiere del tempo. Il ripudio della guerra e le riflessioni sull’attualità: «Siamo in un mondo segnato da guerre assurde, in cui lo stato di Israele offende la memoria dello sterminio degli ebrei e le organizzazioni internazionali girano lo sguardo sul massacro dei palestinesi e sulle vittime di Hamas».


Qual è il significato del 4 giugno 1944?

Un giorno importantissimo per Roma e per tutta l’Italia perché quel giorno sono finiti i bombardamenti e le persecuzioni. Non c’era più il pericolo che i tedeschi ti prendessero per strada. Si era conclusa la guerra e ricominciava la ricostruzione.


Cosa ricordi di quel giorno?

Ricordo che con migliaia di donne ci siamo ritrovate alla Camera dei Deputati, donne provenienti da tutta Roma. Facevamo caroselli, ci abbracciavamo, si stava tutte insieme per festeggiare. Per Roma la cosa più importante era la fine dei bombardamenti.


Cosa accadde nei quartieri?

Nel mio quartiere, Casalbertone, c’erano state 33 incursioni aeree.  Il fatto che il 4 giugno fosse finita la guerra ci rendeva felici perché da quel momento non ci sarebbero stati più lutti e gente che moriva.


Come era Casalbertone in quegli anni?

Casalbertone era un quartiere di antifascisti. C’erano molte fabbriche: metallurgiche e tessili. C’era una grande falegnameria. Gli operai lavoravano 12 ore al giorni ma li pagavano per otto. Per questo motivo gli scioperi erano all’ordine del giorno. Le persone praticavano la ribellione.  E quando gli operai tessili erano in sciopero, le altre famiglie li aiutavano e i loro bambini andavano a mangiare nelle case  degli operai edili o dei metalmeccanici. C’era una grande solidarietà. Poi c’era un palazzo dove abitavano i ferrovieri e un altro i dove vivevano i tranvieri. Tutti erano antifascisti. Anche i bambini lo erano.


Lo sei stata anche tu da bambina. Tanto che a otto anni ti hanno espulso dalla scuola perché avevi liberato una compagna ebrea che era stata legata con le sue trecce al cordino della tenda in classe. Come sei diventata partigiana?

Lo sono diventata perché appartenevo a una famiglia di antifascisti. E allora per me decidere di entrare nella resistenza è stato facile. Anche se all’inizio il comandante partigiano non mi voleva. Era il mese di ottobre. Lui mi chiese:«Si può sapere quanti anni hai?». Gli risposi:«Sono nata il 14 dicembre 1930». E lui:«Ma ti rendi conto che non hai ancora 13 anni? Io non ti voglio perché sei troppo piccola e fare la staffetta è pericoloso». Ma in quel momento intervenne un altro partigiano che gli raccontò della mia ribellione a scuola e gli disse:«Se non la prendi tu lo farò io perché lei ha liberato la compagna ebrea ed è stata allontanata da tutte le scuole». Così il comandante si convinse e mi chiamò Luce. «Da oggi dimentica il tuo nome», mi disse.


Durante le ricorrenze e le date importanti si parla spesso di memoria. Ma se si investe ancora nelle armi e buona parte della politica legittima le guerre, la parola «memoria» non rischia di diventare retorica e vuota? Se non si impara dagli errori, se non c’è un impegno concreto a risolvere il conflitto tra Israele e Palestina a cosa serve la memoria?

Partiamo dalla considerazione che ricordo e memoria sono due termini differenti. Il ricordo corrisponde al ripresentarsi di avvenimenti e di emozioni delle persone che li hanno vissuti  e che li vogliono condividere con i giovani che stanno formando la loro coscienza. Memoria è la necessità di non dimenticare perché il passato diventi un solido fondamento per il futuro e perché non si ripetano gli orrori della tirannia e della guerra. Il ricordo si basa sulla testimonianza mentre la memoria sull’assimilazione della storia mediante resoconti, testi, documenti, filmati e osservazioni critiche. Continuamente parlo con i giovani, faccio videoconferenze e i ragazzi mi fanno domande. La mia esperienza con questi ragazzi - lo scambio che avviene - mostra come la resistenza passi dal ricordo dei protagonisti a memoria delle nuove generazioni. Chiarito questo voglio dire una cosa sul conflitto Israele-Palestina.


Ti ascolto

Ci troviamo in un mondo segnato da guerre assurde in cui lo stato di Israele offende la memoria dello sterminio degli ebrei e le organizzazioni internazionali girano lo sguardo sul massacro dei palestinesi, sui morti vittime di Israele e di Hamas. Non dimentichiamo l’articolo 11 della Costituzione: «l’Italia ripudia la guerra» perché da qui nasce la nostra Costituzione. Mio marito era ebreo. Per l’esattezza sua madre era un’ebrea polacca che, sposando un professore universitario, ha cambiato il cognome. Questo è stato il motivo per cui si è salvata dalla sterminio, ma non si è salvata la sua famiglia, purtroppo, deportata ad Auschwitz. Mio marito nel 2004 è entrato nella comunità ebraica proprio per occuparsi di memoria. Era un ebreo atipico, credeva in «due popoli due Stati». Tutta la nostra famiglia ci crede. Questo conflitto per noi è molto doloroso.

Comentários


bottom of page