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Edoardo Iacolucci

Le canzoni dell'estate per chi è rimasto a Roma ad agosto

Spoiler: «Non è un bel posto»

capitale

Chi l’ha detto che l’estate è la gioia plasticosa dei social e l’amore frivolo raccontato dai tormentoni estivi. L’estate, in città, ha il sapore di una libertà amara. Una meditazione fatta dentro una sauna d’asfalto. Palazzi e strade diventano una bolla che sembra non scoppiare mai. Settembre sembra il miraggio di un'oasi verde che si crede di vedere da quel deserto di malinconia e solitudine di strade che si svuotano. Parcheggi finalmente che si trovano, ma non danno lo stesso gusto. Gli amori finiti, un anno o poco fa, il sudore che si mischia alle lacrime. Ma anche il dolce far nulla. Qui una playlist (in ordine volutamente, totalmente, casuale) dedicata a chi è rimasto a Roma ad agosto, per chi è tornato, per chi è partito, ma ritornerà.


1950, Amedeo Minghi

Una canzone tra la guerra e il 2000 e l’asfalto di Roma. «Che gambe e che passi sull'asfalto di Roma. Serenella, in questo vento di mare e di pini». Un viaggio nostalgico nel tempo, in una Roma tra primavera ed estate. Camicie a fiori degli americani all’indomani della Liberazione. Gli occhi illuminati di Serenella. È l’estate del 1950. Viene evocata un bar, una piazza romana, forse piazza del Popolo, e inizia un’epoca che promette progresso. Soldi cravatte, vestiti, dei fiori e «una vespa per correre insieme al mare». Al mare di Roma, alle sue onde. È non c’è differenza tra quelle onde e all’acqua e agli spruzzi «che escono fuori dalle nostre fontane» e che se c’è un po’ di vento ti bagnano. Da quel caffè, si vola al mare al sole, si vola via.


Butterfly knife, Noyz Narcos & Chicoria

Una canzone iconica, «Roma ad agosto nun è 'n bel posto, 'na città fantasma. Escono fori pe' 'a bamba solo a mezzanotte passata»

Con le metriche sgangherate quasi “cut-up” in stile poeti della Beat Generation, come fossero tagliuzzate proprio da quel coltello a farfalla che dà il titolo alla canzone, Chicoria,insieme a Noyz Narcos, propone una Roma che sa di erba bruciata dal sole ai margini delle strada. Le stesse strade dissestate, con polizia e carabinieri che le setacciano in cerca di malviventi spacciatori. Gli insulti feroci e il rendersi conto che infine ognuno fa il suo mestiere. 

Entrambi soli, sulla strada in una guerra continua tra poveri cristi. La poetica di Pier Paolo Pasolini che tanto viene accostato al collettivo rap romano, c’è qui in tutta la sua forza contemporanea. Ma a parlare non sembra tanto il poeta di Casarsa, ma direttamente uno dei suoi personaggi: «È che io so' 'n cardine, parlo de vita ar margine, robbe pratiche». Ciò che esce fuori dopo essere passato nel trucido frullatore di Noyz e Chicoria è la canzone più reale dell’estate romana.


Arrivederci Roma, Renato Rascel

Il brano musicale composto da Renato Rascel, con testi di Pietro Garinei e Sandro Giovannini, fu inciso nel 1954 e pubblicato su 78 giri, con l'orchestra diretta da Gorni Kramer. “Arrivederci Roma” è l'immortale racconto di un turista che arriva a Roma, visti con l'invidia di un romano, per la sorpresa negli occhi dello straniero, che per la prima volta vede quello a cui lui è fortunatamente abituato. «T'invidio, turista che arrivi, t'imbevi de Fori e de scavi, poi tutto d'un colpo te trovi Fontana de Trevi tutta pe' te». Da qui quel soldino lanciato nella fontana, eterna promessa di ritorno. La canzone evoca poi una storia d’amore negata, un’altra, forse sola di una notte, con la luna in cielo, con una turista inglese, in una soffitta di via Margutta, teatro d’amore.


Lei che riparte lasciando solo l'innamorato romano. Ma lancia la monetina, con una promessa: «Porto in Inghilterra i tuoi tramonti, porto a Londra Trinità dei Monti porto nel mio cuore i giuramenti e gli "I love you!» Ma qui c’è tutta Roma il suo cinismo e poesia in una strofa: «Mentre l'inglesina s'allontana un ragazzinetto s'avvicina va nella fontana pesca er soldo e se ne va». La moneta dell’inglesina, come la sua promessa di ritorno, vale ancora? Scritta originariamente per quartetto, è stata adattata nel 1956 per orchestra di archi.


È stata davvero cantata da tutti, a partire dal 1954, da Nilla Pizzi, poi Claudio Villa, nel 1962 addirittura da Dean Martin nel 1964 da Lando Fiorini nell'album Roma mia da Juan Diego Flórez nell'album Italia  e più recentemente omaggiata da Renato Zero e Amedeo Minghi in un concerto del 2010.


Un'estate fa, Franco Califano

Un brano meravigliosamente dolce e nostalgico. «Assomiglia ad un gioco è stupenda, ma dura poco». L’estate è qui il contrario della gioia della plastica e degli amori frivoli dei tormentoni. Prima era una favola, ora senza l’amata diventa una strada solitaria. Un’ estate che sfugge tra le righe del pentagramma, per chi è rimasto in città e vive quei momenti di solitudine universale propri di agosto.


Canzone per chi, Stefano rosso

Un delicato manifesto anarchico del cantautore trasteverino, scritto nel 1979. «L'estate starnutiva un pò d'autunno, le nuvole coprivano il tramonto, così mi ritrovai la notte al fianco, mi ritrovai di nuovo solo e stanco». Tra incontri con ragazze che vendono fiori su ponte Marconi in una Roma che nelle estati degli anni Settanta era davvero un deserto d’asfalto. Con il suo tono intimista, Rosso ruba «la luce da un lampione» e parla direttamente agli ultimi. Un brano per tutti quelli che non si fanno fregare dal potere, «per chi gioca con i bambini in riva al mare, per chi uccide le teorie di re buffoni» ma anche, molto romano, «per chi fa l’amore e piscia nei portoni».


Bruno Martino, Estate 

Anche qui un amore perso. L’estate è malinconia e saudade. Non c’è verso di dire il contrario. Il jazz raffinato del musicista romano Bruno Martino è una colonna sonora elegante quanto malinconica per i tramonti e le calde sere romane, quando l'afa sembra opprimere, ma la bellezza della città non svanisce mai. Un sole che se prima dipingeva il cielo dolcemente adesso brucia solamente. E tra il caldo e la solitudine, l’estate non si può che odiare e aspettare l’inverno con i mille petali di rose e la neve che coprirà tutto. Finalmente, la pace.

(Il brano si trova anche nella colonna sonora del film “Romanzo Criminale” in cui è cantata dall’attore Stefano Fresi, un caposaldo nella playlist dell’estate romana).


Ragazzo solo, ragazza sola - David Bowie

Ancora un amore finito. Qui la città non è ben esplicitata, ma questo capolavoro di Bowie, tra melodia di "Space Oddity", e il testo di Mogol, è stato utilizzato dal regista Bernardo Bertolucci per il film ambientato a Roma, «Io e te», tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore romano Niccolò Ammaniti, amico del regista. La musica di David Bowie, con le parole di Mogol crea un'atmosfera misteriosa e evanescente, ideale per aggirarsi nella Capitale con la dolcezza solitaria dell’introspezione.


Piangi Roma - Valeria Golino & Baustelle

Un duetto malinconico e struggente. «Piangi Roma, muori amore Splendi sole da far male. Ho già fatto le valigie. Ma rimango ad aspettare». E «Nonostante il temporale, Metto i panni ad asciugare, Piangi Roma, ti fa bene» perché al solleone capitolino non si sfugge. Se se ne va, poi è sicuro, ricompare. Un brano cattura l’emozione della città eterna, tra amori che finiscono e la Capitale che sembra chiedere un pianto, che forse è solo una bella piovuta.


Luna di città d’agosto - Jovanotti

Molti non sanno che anche Jovanotti è romano. E a Roma ha passato tutta la sua infanzia e adolescenza. Ha studiato al liceo Malpighi e poi si è trasferito nella terra natale dei suoi genitori, in Toscana. Questa è una delle prime canzoni scritte completamente da solo da Jovanotti, il giorno in cui è morto Modugno. Iniziata a canticchiare per omaggio, sugli accordi di “Vecchio Frack” è poi venuta fuori una canzone totalmente diversa con un’autenticità tutta sua. «Luna di città d'Agosto Che sembri solamente mia In questo asfalto posto. Con la gente che se n'è andata via». Anche qui, solitudine, malinconia e un amore finito. I temi preferiti dai cantautori per descrivere l’anima dell’estate. «Palazzi e strade come scenografie, Di uno spettacolo che è andato male, Coi ballerini che tolgono il trucco. Per ritornare a cominciare a sognare». Una Roma estiva, illuminata dalla luna di agosto, che volge le sue sensuali spalle, e guarda il mare.


Sporca Estate - Piero Ciampi

«Figli, vi porterei a cena. Sulle stelle. Ma non ci siete». Con la sua poesia maledetta e commovente, Piero Ciampi dipinge un'estate urbana drammatica, riflettendo la realtà vissuta da chi resta in città e affronta i dolori di un padre separato che non può stare con i propri figli e si vede costretto a rimanere nella sua solitudine. Piero Ciampi aveva due figli avuti da due matrimoni differenti. Dalla prima moglie irlandese Brigit Mary Fox  ebbe il primo figlio, Steven. Dalla seconda moglie, Gabriella Fanali, una figlia, Mira. Toscano di nascita, Ciampi vive a Roma buona parte della sua turbolenta vita, fino al giorno della morte nel 19 gennaio del 1980, a soli 45 anni.


(Ostia) Buena fine estate, Pop X

L'estate prima o poi deve finire. Pubblicata inizialmente sul social musicale bandcamp con il nome di "Ostia", "Buena fine estate" è un pezzo strumentale di Pop X, il lisergico gruppo musicale di Trento, capitanato da Davide Panizza. Qui in un'atmosfera crepuscolare, senza parole, ma solo rumore, vengono evocati, ombrelloni che si chiudono, la prima brezza al tramonto di fine agosto, e un maglione infilato a metà cena. D'altronde (è il caso di dirlo) a Roma c'è Ostia. A Roma abbiamo anche il mare.


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