«Tanti giovani soffrono d'ansia e hanno paura del futuro», la professoressa Di Trani racconta il progetto «A mente libera» [VIDEOINTERVISTA]
- Camilla Palladino
- 6 dic 2024
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 10 dic 2024
L'iniziativa è promossa dal Campidoglio, con la collaborazione di Farmacap, Sapienza Università di Roma, Zètema, PalaExpo e Biblioteche di Roma

«"A mente libera", prima di essere un progetto di prevenzione, è un progetto di promozione della salute». Parla Michela Di Trani, responsabile del progetto per contro del dipartimento Psicologia dinamica clinica e Salute della Sapienza. L'iniziativa promossa dal Campidoglio, con la collaborazione di Farmacap, Sapienza Università di Roma, Zètema, PalaExpo e Biblioteche di Roma, offre ai giovani adulti romani tra i 18 e i 30 anni incontri, workshop con professionisti e testimonial, e la possibilità di prenotare fino a cinque incontri gratuiti di dialogo, individuali e anonimi, con esperti per parlare e approfondire il tema del disagio giovanile. A meno di un mese dalla ripresa del progetto, dopo una prima fase sperimentale, La Capitale ha fatto il punto con l'esperta.
Professoressa Di Trani, quanti sono finora i giovani adulti che quest'anno hanno prenotato gli appuntamenti?
«"A mente libera" nasce come progetto sperimentale di Roma Capitale e inizia effettivamente a marzo di questo anno. Abbiamo una prima fase pilota tra marzo e luglio, in cui gli psicologi hanno incontrato poco meno di 600 persone. Molte di loro hanno concluso i 5 incontri previsti dal progetto, per alcune non è stato necessario e quindi hanno terminato prima. Abbiamo poi ripreso con una seconda fase l'8 novembre. Nelle prime 48 ore abbiamo avuto quasi 100 richieste. A fine novembre sono state 150 le persone che hanno iniziato il percorso, ma tutti i giorni arrivano nuove domande».
Quali sono le fragilità che vengono più comunemente descritte dai ragazzi tra i 18 e i 30 anni?
«Da un lato l'isolamento e la solitudine, dall'altra l'ansia e la paura per il presente e anche per il futuro. L'impressione è che i giovani abbiano la percezione di non avere le risorse sia personali che sociali per far fronte alle richieste della vita. Ed è come se mancasse una progettualità chiara sul futuro. Sono disorientati rispetto a come immaginare e quindi poi attivamente lavorare per costruire il proprio futuro. Anche un futuro che rispetti le loro inclinazioni, i loro desideri».
Perché questa iniziativa è così importante in termini di prevenzione del disagio giovanile?
«Perché ci permette di monitorare e identificare molto velocemente le situazioni a rischio, che possono poi essere gestite nell'arco dei cinque incontri oppure essere inviate nei servizi più idonei. Però secondo me "A mente libera" è, prima di essere un progetto di prevenzione, un progetto di promozione della salute. Perché dà ai giovani adulti quello spazio necessario per affrontare un momento evolutivo che per tutti è difficile. E quindi l'idea è proprio quella di accompagnarli favorendo le loro competenze, favorendo le loro risorse, perché l'alternativa non è molta. Noi sappiamo che i servizi del Servizio sanitario nazionale sono estremamente oberati e necessariamente trattano solamente i casi più difficili, quelli più gravi, arrivati già alla conclamazione di una patologia. C'è chiaramente una grande disponibilità di professionisti sul piano privato, anche molto preparati, molto bravi, però non tutti i giovani adulti, soprattutto quando stanno iniziando a lavorare in un periodo di vita particolare, possono permetterselo dal punto di vista economico. Ci sono tantissime risorse dal punto di vista del terzo settore, però la prestazione gratuita è molto difficile poi trovarla sul territorio».
La prevenzione del disagio giovanile è un tema emerso con forza, anche a livello anche di comunicazione, dalla pandemia. Quanto ha contribuito effettivamente il Covid nella diffusione di questo tipo di fragilità?
«Sicuramente la pandemia ha esacerbato una condizione che c'era già, l'ha resa più visibile, ha sicuramente anche contribuito a peggiorare delle condizioni. Però c'è l'altro lato della medaglia, cioè che la pandemia ha fatto aumentare le risorse di sostegno, da un lato, e ha anche permesso alle persone di chiedere aiuto, perché tutti abbiamo fatto i conti con un nemico, con una fonte di disagio che era esterna ed era collettiva. Questo ha permesso a molti di dire, ok c'è la pandemia, sto male anch'io, chiedo aiuto. Quindi da un lato sicuramente ha aggravato alcune condizioni, dall'altro però le ha fatte emergere e ha aumentato le possibilità di sostegno. In questo caso i ragazzi magari si sentono un po' meno soli e la condivisione anche del problema può essere di aiuto per affrontarlo».
Il progetto "A mente libera" prevede anche una serie di workshop con questi ragazzi. Lì che tipo di numeri avete avuto e di cosa si tratta?
«I workshop avvengono periodicamente nel periodo tra marzo e luglio, ne abbiamo fatti sette e adesso altri tre nel periodo novembre-dicembre e sono degli spazi aperti tematici. Sono stati i ragazzi stessi a scegliere i temi. Abbiamo parlato di body shaming, abbiamo parlato di disturbi del comportamento alimentare, abbiamo parlato di dipendenze, ma abbiamo parlato anche di affettività, di coppia e di paura del fallimento. Lo abbiamo fatto insieme a delle persone che hanno portato le loro testimonianze, ai professionisti, e hanno partecipato circa mille persone a questi eventi. I workshop sono poi susseguiti da laboratori esperienziali, dove noi riprendiamo i temi che sono stati trattati la mattina, ma riprendiamo soprattutto quelle che sono le reazioni emotive dei ragazzi, che in un primo momento ascoltano. C'è la possibilità di fare le domande durante il workshop, ma difficilmente si lasciano andare a parlare di sé. I laboratori, che sono spazi più ristretti, riservati, diventano il luogo in cui, senza giudizio e con tanta protezione, i ragazzi si espongono un po' di più. Raccontano le loro storie e il gruppo aiuta l'individuo ad affrontare le questioni che porta. Si torna sempre comunque alla solitudine, quindi all'esigenza di combattere le cose in gruppo. E poi la cosa interessante è che, pur essendo i laboratori e i workshop tematici, e quindi ognuno iniziava e finiva a quel giorno, si è creato un gruppo di persone che ci ha seguito durante diversi workshop, proprio perché ha trovato in quello spazio uno spazio di espressione e confronto».
L'iniziativa prevede la possibilità di prenotare fino a cinque appuntamenti individuali. (7:59) Dopodiché cosa succede a questi giovani adulti?
«Per il tipo di questioni che nel progetto affrontiamo, abbiamo potuto fare esperienza del fatto che cinque incontri spesso aiutano la persona a fare il punto della situazione, a riorganizzare la questione che loro portano e a volte anche ad avviarsi verso una risoluzione. Ci sono altre condizioni in cui invece, in questi cinque incontri, ma anche prima, alcune volte anche all'inizio, emergono situazioni e quadri che non possono essere gestiti all'interno del progetto. In questi casi, noi abbiamo attivato tutta una serie di contatti di rete di invio, per cui l'obiettivo delle consulenze diventa aiutare la persona ad orientarsi sul territorio e accompagnarla verso il servizio più idoneo alle sue necessità».