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Il bullismo, tre case-famiglia e l'affido finito male, l'infanzia di Caterina:«Non riuscivo più ad alzarmi dal letto»

  • Immagine del redattore: Titty Santoriello Indiano
    Titty Santoriello Indiano
  • 20 nov 2024
  • Tempo di lettura: 4 min

Oggi Caterina ha quasi 21 anni e, dopo più della metà della vita in casa-famiglia, frequenta una scuola di alta formazione e sogna di organizzare viaggi di gruppo. La Capitale ha raccolto la sua storia in occasione della Giornata internazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza

Infanzia Roma
Immagine di archivio

Aveva 12 anni Caterina (nome di fantasia, ndr) quando, con la madre e il fratello Marco, si è ritrovata senza casa. Per alcune settimane loro tre hanno vissuto tra un parente e un'amica a Guidonia Montecelio, cittadina alle porte di Roma. Suo padre non riusciva più a pagare gli alimenti dopo la separazione e, così, una donna e i suoi figli sono stati sfrattati. «Andavamo da chi poteva ospitarci» perché anche la chiesa «ci aveva sbattuto la porta in faccia», racconta Caterina che ha trascorso metà della sua vita in casa famiglia.


La prima comunità e la separazione dalla madre

Dopo il breve periodo di vagabondaggio, sono stati i servizi sociali ad occuparsi di lei che, con la madre e il fratello, è stata ospitata da una comunità a Castel Madama. «Stavamo bene lì, gli abitanti ci occoglievano nelle loro case ed erano genitli con noi». Poi un controllo della Asl rilevò delle irregolarità e la casa famiglia chiuse. Nel frattempo la madre di Caterina fu interessata da un procedimento penale e a quel punto avvenne la separazione tra i figli e tutta la famiglia della donna.


«Ci facevano i dispetti perché eravamo gli ultimi arrivati»

Caterina e Marco tornarono nei pressi di Guidonia, accolti da un'altra comunità, ma non poterono rimanerci molto. «Sia io che mio fratello subimmo atti di bullismo che poi abbiamo denunciato», ricorda Caterina. «Ci facevano dispetti, ci dicevano che dovevamo sopportarli perché eravamo gli ultimi arrivati e a quel punto, per sottrarci a quell'inferno, ci hanno di nuovo spostato.


«Mi sentivo diversa»

A 14 e 8 anni i due fratelli arrivano in un piccolo paese vicino Latina, in una comunità arroccata su un promontorio che disincentivava fortemente i contatti con l'esterno. «Andavo a scuola: scelsi l'istituto Turistico anche se gli operatori speravano, come facevano con tutti, che andassi all'alberghiero perché era vicino alla comunità e ci permetteva di essere più controllati». In quel periodo «mi sentivo diversa dagli altri», dice Caterina, «mi chiedevo "perché proprio a me"?», e «rosicavo perché le altre potevano uscire la sera a 15 anni, avevano la loro privacy, la loro famiglia». Poi col tempo «ho capito che ognuno ha il proprio percorso e che alcuni avvenimenti accadono per insegnarti qualcosa». Ma allora «non lo capivo, tanto che quando a 16 anni arrivò la proposta di una famiglia affidataria accettai di buon grado di andare a stare da loro insieme a mio fratello». Un'esperienza che, però, non è andata bene. «Da quando avevo 12 anni speravo di essere adottata, avevo già capito che con la mia famiglia di origine non c'era speranza ma i servizi sociali non erano d'accordo. Poi quando arrivò questa famiglia probabilmente era troppo tardi, volevano plasmarmi secondo i loro desideri. Ero grande, avevo il mio modo di vedere le cose, i miei interessi, fu un fallimento e così ce ne tornammo in comunità».


«In comunità combattevo per del cibo migliore e per la mia libertà»

Del periodo della scuola Caterina ha anche ricordi belli:«Una volta mi sono candidata come rappresentante degli studenti, mi piaceva l'idea di fare qualcosa di utile per gli altri. Anche se non venni eletta perchè non mi conoscevamno molte persone fu una bella esperienza». Intanto la vita scorreva in casa famiglia. «Ci ero entrata da bambina e ormai ero un'adolescente e per un lungo periodo l'ho frequentata poco: la mattina la scuola, poi la danza, uscivo alle 7 e tornavo alle 21. Ma non la vivevo bene la comunità, era un continuo combattere - per me e per gli altri- per avere del cibo migliore e soprattutto per poter compiere le mie scelte liberamente. Poi alla fine del percorso scolastico ho cominciato a diventare davvero insofferente... Ho avuto un mese di "burnout", non riuscivo più ad alzarmi dal letto, non sapevo proprio che fare».


Il trasferimento a Roma e la scuola di alta formazione

Ma da quel buio Caterina è uscita. Si è diplomata e si è iscritta ad una scuola di alta formazione nel settore dell'hospitality. Anche con l'aiuto di alcuni progetti di welfare si è trasferita a Roma dove ora lavora in un hotel e sogna in futuro di vivere all'estero, di innamorarsi e di organizzare viaggi di gruppo. «Fino a qualche tempo fa pensavo ad un albergo tutto mio ma forse ora è troppo presto, vorrei lavorare viaggiando, almeno per un pò».


«Si può stare bene»

Caterina, che ora ha quasi 21 anni e un forte ideale di giustizia, pensa alla bambina che era e a chi oggi vive quella condizione, fuori dalla famiglia, in una comunità, senza più radici nè riferimenti: «Ci si sente spaesati, a volte credi che non ci sia spazio nel mondo...Sono vite diverse da quelle di molti altri ma non bisogna pensare che il proprio passato ci definisca. Con la determinazione si può scegliere il proprio percorso e provare a stare bene»



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