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Titty Santoriello Indiano

Giacomo e gli adolescenti «ritirati socialmente», a Roma la metà di loro è vittima di bullismo

Aggiornamento: 6 giorni fa

La storia di Giacomo, 16 anni che, per gli esperti, è un «ritirato sociale». Un  ragazzo che, per usare il più conosciuto termine di origine giapponese, è un hikikomori. Uno dei 700 adolescenti che ogni anno si rivolgono all’ospedale pediatrico Bambino Gesù  proprio per questo tipo di disturbo

Hikikomori Roma
Studenti che vanno a scuola

«Non ne posso più dei miei compagni che mi scrivono chiedendomi come sto e perché non vado a scuola. Io non rispondo, non voglio rispondere a nessuno. La verità è che non voglio cambi nulla. A casa mi sento al sicuro, nella mia camera ancor di più. Ho tutto ciò di cui ho bisogno». Giacomo, 16 anni, è un «ritirato sociale» dicono gli esperti. Un  ragazzo che, per usare il più conosciuto termine di origine giapponese, è un hikikomori. Uno dei 700 adolescenti che ogni anno si rivolgono all’ospedale pediatrico Bambino Gesù  proprio per questo tipo di disturbo. Un presidio sanitario che accoglie minori soprattuto dal centro-sud della Penisola ma che ha un’utenza romana per circa il 60 per cento dei casi.


«Dal ritiro sociale si può uscire»

Giacomo - che aveva già delle difficoltà nel relazionarsi con gli altri, fino a sentire ansia e tachicardia nelle situazioni sociali - si è reso conto di avere un problema durante il periodo della pandemia da Covid19. «Mentre tutto il mondo soffriva, aveva paura della morte e lamentava lo stravolgimento delle abitudini di vita, io stavo meglio», racconta in una sua memoria. Stava meglio, probabilmente, perché era legittimato a rimanere a casa, l'unico posto dove stava bene. A quel punto, insieme alla sua famiglia, ha chiesto aiuto e ha cominciato un percorso verso la guarigione. Perché dal «ritiro sociale» si può emergere soprattutto con il sostegno della famiglia. «Dico ai genitori di non mollare, anche quando i loro figli fanno fatica ad uscire di casa», spiega Maria Pontillo, psicoterapeuta al Bambino Gesù, autrice, insieme a Stefano Vicari, del libro «Adolescenti che non escono di casa». Secondo Pontillo, infatti, «se il ritiro sociale è affrontato precocemente, può essere gestito e portato a risoluzione ma se si arriva dallo specialista dopo 3, 4 anni di disturbi, la situazione si cronicizza ed è più difficile intervenire».


Il lavoro dei genitori

I genitori hanno un ruolo fondamentale. «Il lavoro principale viene svolto proprio con loro - spiega la psicoterapeuta - perché in molti casi i ragazzi fanno fatica anche ad uscire per venire dallo specialista. Mi è capitato - racconta - di seguire la famiglia di un’adolescente per due anni ma ho visto la ragazza solo un anno e mezzo dopo per la prima volta». Perché se i giovani «ritirati» sono restii è fondamentale fornire a chi sta loro accanto gli strumenti per agire e per sostenere una richiesta di aiuto.


Chi sono gli adolescenti «ritirati»

Hanno circa 15 anni e nella maggior parte dei casi stanno vivendo il passaggio dalle scuole medie alle superiori. E, sebbene, il disagio possa manifestarsi in forme diverse, dagli studi emergono delle caratteristiche comuni. Rimanere a casa per un tempo prolungato, non andare a scuola, evitare di uscire e di incontrare i coetanei.

Sono alcuni di quelli che la psicoterapeuta Maddalena Cialdella definisce «campanelli di allarme a cui prestare attenzione». Ma anche il cambio repentino delle abitudini alimentari e la variazione del ritmo sonno - veglia «sono indicatori da non sottovalutare». Questi ragazzi «sono molto sensibili, in loro, come una carta velina, il male di vivere impatta profondamente».


«All'inizio non ci si accorge del problema»

Ma c'è un motivo, secondo Cialdella, per il quale a volte ci si accorge tardi del problema. «All’inizio un ragazzo "ritirato" può essere considerato favorevolmente dalla famiglia, un classico “bravo ragazzo" perché se il genitore pensa al mondo esterno come pericoloso, ne consegue che il figlio che sta a casa è al sicuro ed è maggiormente controllabile. Questa è una situazione gratificante e più agevole per le mamme e i papà. Fin quando poi - prosegue la psicoterapeuta - con il passare del tempo, non si scopre che la situazione è pericolosa e spesso questo avviene molto tardi».

A quel punto già sono evidenti «gli impatti negativi sull’alimentazione oppure l’attività fisica trascurata, viene meno la cura della propria persona, il ritmo sonno-veglia viene invertito». E ancora: «Alcuni ragazzi - spiega Cialdella - corrono il rischio di sviluppare comportamenti autodistruttivi: si fanno del male, oppure abusano di sostanze. Sono ragazzi assaliti da un’ansia sociale, temono di vedere compromessa la loro vita e di non avere le risorse per rimediare, hanno una visione pessimistica del mondo».


Perché si diventa adolescenti «ritirati»

Quello dei regazzi «ritirati» è definto dagli esperti «disturbo psicopatologico». Ma, sebbene ogni caso sia a sè, quali possono essere le principali cause di un problema così profondo che induce gli adolescenti ad evitare la vita sociale ? «E' il frutto di un’interazione tra fattori», riprende Pontillo:«I primi sono fattori genetici: chi si ritira socialmente ha una famiglia poco incline ai contatti sociali o addirittura ha un altro componente isolato socialmente». Quindi «c'è una forte componente genetica o familiarità». L’altro aspetto è legato al temperamento:«La timidezza a partecipare alla recita scolastica o alle feste di compleanno, sono segni precoci che fanno riferimento ad un temperamento introverso», continua la specialista. Poi ci sono i fattori ambientali: «ciò che accade nel contesto e che può avere un effetto: subire un atto di bullismo, oppure un trauma come la perdita di un genitore, o essere stati maltrattati». Sul tema del bullismo c'è una letteratura specifica. Il Bambino Gesù stima che il 45 per cento dei bambini che ne sono vittima sono a rischio di ritirarsi. «Ma lo ripeto - conclude Pontillo - dal ritiro sociale si può uscire anche semplicemente iniziando a parlarne con il pediatra o con il medico di famiglia».









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