- Camilla Palladino
Femminicidi, l'avvocato Gassani: "È la più grande emergenza nazionale"
Secondo il legale, avvocato cassazionista iscritto al Foro di Roma, presidente dell'associazione Avvocati matrimonialisti italiani (Ami) ed esperto in materia di femminicidi e violenza di genere, a Roma la violenza si consuma più ai Parioli che a Torpignattara
«A Roma la violenza in generale, non solo il femminicidio, si consuma più ai Parioli che a Torpignattara. Bisogna cambiare la mentalità e la narrazione di questi fenomeni». A parlare è Gian Ettore Gassani, avvocato cassazionista iscritto al Foro di Roma, presidente dell'associazione Avvocati matrimonialisti italiani (Ami) ed esperto in materia di femminicidi e violenza di genere, alla luce dell'uccisione di Manuela Petrangeli, la fisioterapista 50enne morta in zona Casetta Mattei perché il suo ex compagno le ha sparato diversi colpi di fucile. Un fenomeno che il legale definisce «la più grande emergenza nazionale»: solo nel territorio di Roma e provincia nel 2023 sono state uccise in ambito familiare otto donne. Quest'anno il numero è già salito a quattro.
Avvocato Gassani, partiamo dal racconto dei femminicidi da parte dei media. Nel 2022 lei sosteneva che il modo in cui si parla di questi delitti è uno dei motivi per cui le donne non denunciano. Negli ultimi due anni la situazione è migliorata?
«Guardi, noi ci troviamo davanti alla più grande emergenza nazionale che è la violenza di genere contro la quale, al netto del codice rosso, che è una bella legge sulla carta ma è a costo zero, non siamo riusciti a fare fronte. Il problema è emergenziale perché la politica non ha investito sui centri antiviolenza, per l'aumento dei magistrati nella pianta organica, ne mancano 3mila, per potenziare i servizi sociali. Questa è una guerra civile che stiamo affrontando senza mezzi e senza uomini. E allora, paradossalmente, dal varo del codice rosso addirittura sono aumentate le vittime perché chiaramente il killer, il delinquente, non si preoccupa dell'aumento di una pena. Va fermato, bisogna prevenire certi fatti, e l'Italia purtroppo non è preparata. Anche in tema dei braccialetti elettronici, ne abbiamo pochissimi rispetto agli altri paesi. Sono 4mila in Italia, ma ce ne sono 50mila in Francia. Quindi, in questo momento c'è un'emergenza e questo crea sfiducia nelle donne perché pensano che una denuncia molte volte si possa tradurre in una condanna a morte. Più del 40 per cento delle donne che sono state uccise aveva già chiesto aiuto, aveva già sporto denuncia».
Secondo lei quindi il codice rosso non è la soluzione al problema, non è sufficiente per arginare il fenomeno dei femminicidi. Che altro serve?
«La questione è soprattutto culturale. Io non credo al patriarcato del nostro paese anzi, penso che sia una stagione finita, ma credo a qualcosa di molto più grave. Si chiama misoginia, si chiama maschilismo. E quello è un male difficile da estirpare, perché il patriarcato è un modello familiare che francamente è scomparso, visto che molti padri non ci sono neanche in famiglia, a causa delle separazioni, o perché non hanno nessun tipo di legame con i figli. Il problema è il maschilismo che a volte viene anche dal mondo femminile, visto che molte donne non sono alleate alle donne. Quindi c'è un problema culturale che va affrontato nelle scuole attraverso l'educazione sentimentale e sessuale. Molti uomini uccidono perché non sono pronti sentimentalmente ad accettare un no, o un basta, e questo è un problema serio. Fino a quando non estirpiamo questa cultura, non riusciremo ad arginarlo. Tenga presente che abbiamo abrogato il delitto di onore al codice penale, ma non l'abbiamo abrogato alla coscienza di molti uomini, i quali ritengono di potersi vendicare rispetto alla fine di un rapporto decisa dalla donna».
Lei diceva prima che il 40 per cento delle donne che muoiono per mano degli uomini di solito hanno già denunciato. In questo caso non l'aveva fatto la vittima stessa, ma l'aveva fatto la compagna ancora precedente del killer, che per questo era stato anche in carcere. Allora questo femminicidio si poteva evitare?
«Si poteva evitare questo e anche tanti altri. Ci sono molti femminicidi annunciati, insomma. Molti femminicidi che purtroppo si sa che potrebbero scoppiare da un momento all'altro, perché ci sono delle avvisaglie che devono essere prese in considerazione. Per esempio quando ci sono varie denunce, varie molestie o messaggi particolari, penso che si debba immediatamente intervenire e non lasciare sole le donne».
Cos'è che non funziona nel passaggio tra le denuncia e la presa di provvedimenti?
«La mancanza di organizzazione, la mancanza di uomini, la mancanza di polizia, di carabinieri, di macchine, di benzina delle macchine, manca tutto. Su questo l'Italia è un paese in grande difficoltà. E quindi bisogna ricostruire tutto quanto da capo, pensare che nell'agenda politica al primo posto ci debba essere assolutamente la lotta contro la violenza di genere».
Il Lazio, rispetto al resto del Paese, ha dati rilevanti in termini di femminicidi?
«No, il Lazio non si colloca tra le regioni più violente. Lo sono invece la Lombardia, il Veneto, il Piemonte... Ovviamente il fenomeno è spalmabile in tutto il Paese, ma nel nord ci sono più violenze domestiche rispetto al centro-sud».
E lei questo come se lo spiega?
«Non saprei spiegare il perché, ma posso dire che nel sud c'è molto più rispetto verso le donne, su questo non c'è dubbio. Siamo abituati a pensare che il sud sia arretrato e che quindi la violenza di genere in quelle regioni sia maggiore. Invece più si è ricchi, più si è inseriti "in un certo contesto", e più si è assassini. I femminicidi spesso riguardano la media borghesia, non la gente dei quartieri. E i fatti violenti, non solo il femminicidio ma proprio la violenza in generale, a Roma si consumano più ai Parioli che a Torpignattara. Non è una questione di casta, spesso negli ambienti più in si consumano le peggiori cose quindi bisogna anche cambiare un po' la mentalità e la narrazione di questi fenomeni».
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