Eni contro il prof di storia: a Roma il processo per diffamazione. Gli attivisti: «Attacco alla libertà di espressione»
- Edoardo Iacolucci
- 10 giu
- Tempo di lettura: 3 min
A portarlo in tribunale è Eni, dopo alcune dichiarazioni pubblicate dal docente sui social, nelle quali ha criticato le attività della compagnia energetica.

Si svolge oggi, martedì 10 giugno alle ore 9:00, presso l’Aula 6 del Tribunale di Roma, una nuova udienza del processo per diffamazione a carico di Michele Giuli, professore di storia in un liceo romano.
A portarlo in tribunale è Eni, dopo alcune dichiarazioni pubblicate dal docente sui social, nelle quali ha criticato le attività della compagnia energetica. A sostegno, qui in piazza molti attivisti di Ultima Generazione.
Si discute qui sull’ammissione delle prove e dei testi. Michele Giuli si definisce parte di un’azione di «testimonianza e resistenza», sostenendo che il procedimento sia «una forma di repressione del dissenso».
Le frasi contestate a Giuli contro Eni
Due le dichiarazioni finite nel mirino di Eni:
«Eni continua a portare avanti affari illeciti, dettando politiche energetiche all’Italia e sfruttando in modo coloniale le risorse di Paesi come Nigeria e Mozambico».
E la seguente: «Eni è colpevole e criminale», perché «non sta rispettando alcun accordo internazionale» e «sta aumentando gli investimenti in combustibili fossili», pur avendo consapevolezza, «fin dagli anni ’70», degli effetti devastanti delle emissioni di CO₂.
Gli attivisti: «Michele Giuli dice la verità»
Secondo attivisti e organizzazioni per la giustizia climatica, tra cui ReCommon e Oil Change International, le affermazioni di Giuli sono supportate da dati e documenti. In particolare, una ricerca di ReCommon
«ha riportato l’esistenza di studi interni al centro ricerche di Eni già negli anni ’70, che avvertivano dei gravi rischi legati alle emissioni di anidride carbonica».
Gli attivisti sottolineano inoltre che «Eni sta aumentando gli investimenti nei combustibili fossili: secondo un report di Oil Change International - ricordano -, circa il 90 per cento del capitale investito da Eni è destinato a progetti di esplorazione e sviluppo di fonti fossili, mentre solo una minima parte è dedicata alle energie rinnovabili. Nel 2022 - precisano gli attivisti - Eni ha investito 15 miliardi di euro nel settore fossile e solo 1 miliardo in Plenitude, il ramo rinnovabile dell’azienda».
Anche le critiche al «colonialismo energetico» di Eni trovano riscontro, secondo gli attivisti, nelle conseguenze ambientali e sociali delle attività dell’azienda in Paesi come Nigeria e Mozambico. «Nel delta del Niger – spiegano – ci sono stati sversamenti per 4,1 milioni di litri di petrolio», mentre «l’impianto di GNL Coral South in Mozambico emette gas climalteranti 7 volte oltre le stime iniziali». Inoltre, «secondo i dati forniti da Eni stessa, nel biennio 2022–2023 il progetto non ha generato alcun introito netto per lo Stato del Mozambico».
Infine, viene ricordata la collaborazione di Eni con l’Egitto, definito dagli attivisti «un regime dittatoriale responsabile, tra l’altro, della morte del ricercatore Giulio Regeni». Una precedente denuncia pubblica su questi rapporti è costata una querela per diffamazione anche all’attivista Antonio Tricarico.
Una questione oltre il processo
Il processo a Michele Giuli pone al centro il conflitto tra tutela della reputazione aziendale e diritto alla libertà di espressione. Per i sostenitori del docente, si tratta di una «strategia per silenziare il dissenso climatico», mentre Eni difende la propria immagine da quelle che considera «accuse infondate e lesive».
Il dibattito resta aperto. Come affermano molti attivisti: «Dire la verità sulle responsabilità climatiche di Eni non è diffamazione, è un atto di giustizia».