«Consigliera» e «assessora», «prefetta» e «revisora», il Campidoglio rivoluziona il linguaggio in tutti i documenti
Aggiornamento: 20 nov
Modificare, entro il 2025, gli atti amministrativi, le delibere, i bandi e la modulistica: tutti documenti che dovranno essere rispettosi dell’identità di genere e che nomineranno sia il maschile che il femminile. La Capitale ha potuto leggere una nota che il dipartimento Pari Opportunità ha inviato agli altri uffici del Comune con le «Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo dell’Ente». Tra le nuove regole: il termine «vigilessa» è improprio. Meglio usare «la vigile».
Nel primo giorno in cui una donna in Italia ha ricoperto il ruolo di presidente del Consiglio, una circolare di palazzo Chigi chiedeva a tutti i ministeri di chiamare con questa formula Giorgia Meloni: «Il signor presidente del Consiglio dei ministri». All’epoca la premier dopo le polemiche, rispose:«Io mi sto occupando di bollette, tasse, lavoro…», quindi di problemi più importanti. «Potete chiamarmi come credete, anche Giorgia», puntualizzò Meloni esplicitando, così, che il tema del linguaggio di genere non fosse certo in testa alle sue priorità. Due anni dopo, sempre in un luogo istituzionale, la questione torna di attualità. Questa volta, ad occuparsene è il Campidoglio con una nota sulle «Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo dell’Ente». Un documento «per ogni forma espressiva scritta» che punta a modificare entro il 2025 gli atti amministrativi, le delibere, i bandi e la modulistica. Tutti documenti che dovranno essere rispettosi dell’identità di genere e che nomineranno sia il maschile che il femminile. Una vera e propria rivoluzione del linguaggio amministrativo.
Nominare il femminile anche sul sito del Comune
La nota che La Capitale ha letto risale all'11 novembre scorso ed è stata inviata dal dipartimento Pari opportunità, in seguito alle decisioni della giunta capitolina, ai vari uffici apicali del Campidoglio. La lettera contiene delle «semplici regole» grammaticali, lessicali e sintattiche per promuovere, anche attraverso il linguaggio, un ambiente di lavoro «equo ed inclusivo». Una scelta che avrà ripercussioni, inoltre, sull’immagine esterna del Comune perché le nuove disposizioni dovranno essere utilizzate anche dalla redazione internet e dal personale che si occupa del portale istituzionale.
«Consigliera», «assessora», «sindaca» ma anche «prefetta» «difensora» e «revisora»
Secondo le nuove regole, bisogna usare la forma femminile ogni qualvolta ci si riferisce ad una donna come accade già nel linguaggio comune per le parole «consigliera», «assessora», «sindaca». Ma anche, sempre cambiando la desinenza, per quelle meno conosciute come «architetta«, «perfetta», «difensora» «revisora». La nota del dipartimento avverte: a volte sembra che «suoni male perché contrasta le abitudini linguistiche consolidate» ma «continuando a non declinare correttamente i ruoli tradizionalmente maschili al femminile, esprimiamo inconsapevolmente il messaggio che quelli sono ruoli da uomini». Per esempio, se qualcuno sta parlando del sindaco Carlini, immaginiamo che quel sindaco sia un uomo. Ecco perché, se si tratta di Claudia Carlini, è necessario utilizzare il termine sindaca.
Non chiamatele «vigilesse»
Le linee guida del Campidoglio ricordano che non sempre l’aggiunta di un suffisso è opportuno. Ad esempio risulta essere improprio il termine «vigilessa». In questo caso basta cambiare l’articolo: «la vigile». Come per «la giudice». Mentre su «avvocata» e «avvocatessa» si è espressa l’Accademia della Crusca affermando che si possono utilizzare entrambe le parole. I cambiamenti riguardano anche i nomi composti come «la capo ufficio» oppure quelli con lo sdoppiamento esteso. Quando, ad esempio, ci si rivolge ai dipendenti del comune che sono sia uomini che donne, si dovrà usare «le lavoratrici e i lavoratori». Oppure in un bando «le candidate e i candidati ammessi». Sono poi bandite espressioni come «i diritti dell’uomo» che diventano «diritti umani». Dunque, quando è possibile si possono usare termini che già contengono entrambi i generi come «cittadinanza» o «popolazione».
Decenni di ritardo
Pur trattandosi di una nota dipartimentale, questo documento ha una chiara connotazione politica nel senso che compie delle scelte specifiche su come orientare il linguaggio. Sebbene questo possa apparire rivoluzionario, il Campidoglio, così come la maggior parte delle istituzioni, sono indietro di decenni se si pensa che le prime «raccomandazioni» di questo tipo risalgono al 1987 quando Alba Sabatini scrisse per la presidenza del Consiglio «Il sessismo nella lingua italiana».
I neologismi «passano», ma sul linguaggio di genere ci sono resistenze
La linguista, attiva nei movimenti femministi dell'epoca, partiva dal presupposto che la lingua è in evoluzione perché rispecchia i cambiamenti della società. Ad esempio negli anni 80' era un neologismo la parola «cassaintegrato» quando si era diffuso il regime della cassa integrazione. Addirittura lo era il termine «digitale» prima che l'intera società si dotasse di strumenti tecnologici. Sabatini ricorda che fu bandita la parola «negro» dopo le lotte antirazziste oppure «serva» che fu sostituita con «colf». Eppure, queste espressioni «passavano» nel linguaggio comune senza senza problemi. Ma sul nominare il genere delle donne si è trovata sempre una forte resistenza. Perchè «è brutto» o «suona male». Proprio come sta facendo oggi il Campidoglio, all'epoca queste raccomandazioni indicavamo come declinare il femminile: «la segretaria generale», «la parlamentare», «la direttrice di orchestra» e chiedeva di evitare parole come «i romani». Perché anche «le romane» fanno parte della cittadinanza. Forse, dopo 40 anni, qualcuno se ne è accorto.
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