Caso Regeni, la ricostruzione del teste "Delta" al tribunale di Roma: «Sentivo mentre lo torturavano»
Oggi il testimone «Delta», artigiano Egiziano, arrestato nelle proteste di piazza Tahir, è stato sentito in modalità protetta nel processo a carico di quattro agenti segreti egiziani accusati di avere sequestrato, torturato ed ucciso il ricercatore italiano Giulio Regeni.

«Io sono seduto qui e sono terrorizzato». «Molte cose cerco di non ricordarle». Lo racconta Delta un "testimone protetto" - di mestiere artigiano -, nel processo in corso a Roma, presso il Tribunale penale di piazzale Clodio, sull'omicidio del ricercatore friulano Giulio Regeni, torturato e ucciso, nel 2016, a Il Cairo, in Egitto. Imputati del caso Regeni sono quattro agenti segreti egiziani. Il testimone, visibilmente scosso, è stato rassicurato in dal pm Sergio Colaiocco in aula: «È importante la sua testimonianza, da domani questa storia non dovrà più ripeterla».
L'uomo racconta di vivere in Italia da cinque anni:«Sto passando giorni bui. Sono seduto qui in tribunale e sono ancora terrorizzato, hanno i nomi dei miei parenti e degli amici. Il teste riferisce che è stato rilasciato, dopo aver pagato in denaro e aver ceduto un terreno all'ufficiale di polizia: «Mi hanno rilasciato e mi hanno detto di lasciare l'Egitto. Quando sono arrivato in Italia, alcuni mesi dopo, ho sentito i tg parlare di un italiano morto al Cairo e ho riconosciuto Giulio Regeni» ha proseguito.
Caso Regeni, il racconto del teste Delta
«Ho sentito quando Giulio Regeni veniva torturato, si lamentava e parlava in arabo. Ricordo che lo vidi per la prima volta nel commissariato Dokki, eravamo stati arrestati entrambi il 25 gennaio del 2016. Lui chiedeva di potere parlare con un avvocato e con l'Ambasciata». Ricostruisce così quei momenti l'artigiano egiziano arrestato nelle proteste di piazza Tahir, lo stesso giorno della scomparsa di Giulio Regeni, sentito in modalità protetta nel processo a carico di quattro agenti segreti egiziani accusati di avere sequestrato, torturato ed ucciso il ricercatore italiano.
L'uomo ha spiegato di essere stato arrestato dalle autorità egiziane dopo aver scritto una canzone che su Youtube nel gennaio 2016 aveva raggiunto «mezzo milione di visualizzazioni». Ricorda: «Un amico mi disse che la polizia stava venendo ad arrestarmi, ho cancellato il filmato e ho lasciato la mia città. Mi hanno arrestato al Cairo il 25 gennaio a piazza Tahir. Mi hanno preso il documento e portato via con loro».
In commissariato l'incontro con Giulio Regeni
«Vengo portato al primo piano, sono poi entrato: c'era un corridoio e mi hanno fatto sedere» conclude e vede Giulio Regeni: «In commissariato stava parlando con un ufficiale. Ho visto un ragazzo italiano di altezza media, aveva un jeans e una maglietta con una felpa, mi pare fosse azzurra. Aveva circa 30 anni, forse poco più». È il ritratto del testimone del giovane giornalista Giulio Regeni, in risposta alle domande di Colaiocco -. Portava la barba, ma era molto corta. Era in piedi e parlava in italiano con un ufficiale. Io ho detto: "sta chiedendo un avvocato"».
Delta: «Voleva un avvocato, e gli hanno tolto cellulare»
Poi ci hanno portato via, ci hanno fatto salire a bordo di un auto e ci hanno bendato gli occhi. Lui in auto ha continuato a chiedere di un avvocato, parlava in italiano». Il teste racconta poi del perché sa parlare in italiano, con qualche parola, ricordando di aver lavorato «in una società italiana per due anni e conosco qualche parola della vostra lingua» e quindi continua il racconto drammatico nelle ultime ore di Giulio Regeni: «L'ufficiale mi rispose: "fatti gli affari tuoi... vuoi fare l'interprete? Parla arabo meglio di te"».
Delta ricorda che potevano essere state «le ore 20 o le 21», quando ha visto che Regeni, «aveva un cellulare, ma è stato spento e gli è stato tolto». Insieme al telefono, «anche il portafoglio e i documenti».
Testimone Delta: «Bendati in auto, verso il "cimitero dei vivi"»
«Ci hanno picchiato. Io sono stato legato alle maniglie del letto e hanno usato la scossa elettrica. Porto ancora i segni sul mio corpo, ho segni su un braccio, ho in tutto cicatrici di 5 o 6 centimetri sulla tempia sinistra. I segni sul braccio sono coperti da una serie di tatuaggi e risalgono a quel luogo e a quei giorni» .
Il testimone, davanti alla prima corte d'Assise, ha quindi proseguito nella ricostruzione di quelle drammatiche ore: «Siamo stati portati in una sede di sicurezza dello Stato, noto come il "cimitero dei vivi". Giulio venne accompagnato nella sezione per gli stranieri. Non l'ho più visto. Ma sentivo quando veniva picchiato, perché eravamo in stanze vicine: quando si tratta di torturare le persone questi non fanno differenze: non sono razzisti».
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