Al grido «bruciamo tutto» Non Una Di Meno riversa in Sapienza dolore, rabbia e indignazione
- Giacomo Zito
- 3 apr
- Tempo di lettura: 3 min
Il movimento transfemminista riempie Sapienza all'indomani della notizia del femminicidio di Ilaria Sula: «Né fiori, né panchine, vogliamo soluzioni reali»

Il giorno dopo la commemorazione ufficiale voluta dalla rettrice Antonella Polimeni, Non Una Di Meno riempie e si riappropria degli spazi della città universitaria di Sapienza per riversare la rabbia, il dolore e l'indignazione per l'ennesima morte per mano del patriarcato.
La storia ormai nota del femminicidio porta il nome della vittima, Ilaria Sula, e prima ancora quello di Sara Campanella, a Messina. Nomi che risuonano nelle cronache per l'efferatezza del gesto, la vicinanza temporale e spaziale, che fanno però anche eco ai nomi di altre 13 persone*, solo nel 2025, vittime di femminicidio.
Una strage perpetuata da diverse mani, quasi sempre di mariti, compagni o ex, uomini che hanno creduto di poter esercitare un possesso sulle loro vite, ma con un unico mandante: il modello patriarcale che domina la nostra società. «Non possiamo stupirci, possiamo solo arrabbiarci», si sente urlare da una piazza che chiede soluzioni concrete, «né fiori, né panchine».
I complici e la narrazione dei femminicidi
Se c'è un mandante, in questo modello ci sono anche fin troppi complici. Primo fra tutti un sistema che narra queste vicende come «raptus» o «follie», trasformando i carnefici in vittime di una società che non insegna loro a gestire le emozione. Ma no, non è così, «non è una tragedia isolata, è patriarcato».
Il primo complice, raccontano le donne e le libere individualità dal palco improvvisato in piazzale Aldo Moro, è quindi il sistema mediatico, chi scrive e narra di femminicidi senza nemmeno preoccuparsi di partire dallo studio delle linee guida in merito, come già redatte nel Manifesto di Venezia.
L'attacco alle istituzioni, dall'università al governo
Altri complici del mandante sono quindi le istituzioni universitarie e nazionali che, a detta della marea viola, sono incapaci di offrire soluzioni concrete per affrontare la questione.
«Non basta un post su Instagram per ripulirsi la coscienza - tuonano dal palco, riferendosi alla rettrice di Sapienza Antonella Polimeni -. Dove sono le misure di prevenzione? Dove sono i centri antiviolenza all'interno dell'università?».
La rabbia è accompagnata dalla volontà di cambiamento. La richiesta non è simbolica: «Né fiori, né panchine rosse, vogliamo soluzioni reali». Si chiede una vera educazione al consenso, la creazione di spazi sicuri nelle università e l'investimento in centri antiviolenza efficienti.
Ecco che quindi la domanda si contrappone all'offerta. Se da una parte arrivano parole, dall'altra si cercano proposte e soluzioni. Se da una parte si chiede il silenzio, dall'altra si risponde facendo rumore.
Le voci che si susseguono nel presidio non lasciano spazio alla rassegnazione. «Abbiamo perso il conto delle donne uccise - si sente dal microfono - ma non smetteremo di lottare». L'eco della protesta si propaga nelle strade e nelle piazze, con la promessa di tornare.
Il racconto dell'iniziativa
Dopo un primo momento di raccolta all'ingresso dell'università, a piazzale Aldo Moro, la marea viola si sposta quindi all'interno della città universitaria. L'obiettivo è riappropriarsi degli spazi di confronto e di dibattito politico, «perché è stata uccisa un’altra sorella [...] che frequentava le stesse aule, biblioteche e facoltà che attraversiamo quotidianamente. Ieri invece è stata uccisa Sara, a Messina. Entrambe sono state uccise da altri studenti delle loro università» si legge nel post su Instagram d'invito all'evento.

La presenza delle forze dell'ordine non permette di portare a termine l'obiettivo ma il muro non ferma la rabbia che si riversa su quei simboli e monumenti che, immobili, sembrano voler dare il proprio consenso affinché tutto ciò che è stato continui a essere così com'è. Come se quelle statue, immobili e immutabili, dessero stabilità e potere a un sistema inamovibile e intoccabile.
Non è questo, però. quello che il movimento vuole, quanto piuttosto una rivoluzione radicale delle fondamenta stesse della società, partendo proprio da quel modello patriarcale da cui per prima l'istruzione dovrebbe emanciparsi.
Si prospetta, dunque, un nuovo corso partendo proprio da lì, da una nuova Sapienza, una Minerva viola, simbolo di un nuovo modello di apprendere, insegnare, agire e raccontare i fatti e la Storia. «Se domani tocca a me, voglio essere l'ultima», urla una voce tra la folla. E il coro risponde: «Non una di meno». *I dati fanno riferimento a quanto raccolto dall'Osservatorio nazionale sui femminicidi, lesbicidi e trans*cidi di Non Una Di Meno, aggiornato all'8 marzo 2025.